SOUND ON: Il suono nella progettazione degli spazi del brand

Se siete degli habitué di Eventaddicted e siete tornati nell’intimo salotto sonoro di “Sound On”, sicuramente non siete i tipi che strabuzzano gli occhi scoprendo che, quando sentiamo parlare di “touchpoint”, non si parla di football americano ma di punti di contatto tra un brand ed il suo pubblico. Sarà altrettanto scontato anche che oggi tutto-o-quasi possa rappresentare, potenzialmente, un touch-point del brand e che, “grazie” anche alla pandemia Covid19, ci siamo oramai abituati a progettare punti di contatto sia fisici che digitali. Ma fermiamoci un attimo. Tutto questo lo sapete già. Rewind.

Eccoci.
Se trattiamo questo argomento, qui ed ora, è perché vogliamo parlare di touchpoint “udibili”, ovvero punti di incontro in cui il brand generalmente non è visibile, non ci sono schermi, loghi o personalizzazioni di alcun tipo… MA, esiste uno spazio (fisico o digitale) in cui c’è un pubblico che lo attraversa, che si sofferma, e a cui non possiamo impedire di ascoltare. E se pensate che delle cuffie infilzate nel canale uditivo esterno possano rappresentare un impedimento… sbagliate. Altro non sono che un megafono posizionato volontariamente lì, a pochi centimetri dal cervello di un vostro potenziale ascoltatore. Un pò come se le lenti degli occhiali poggiate sul naso di persone a cui volete mostrare qualcosa fossero in realtà, internamente, mini schermi su cui far scorrere tutta la vostra creatività e le vostre strategie. Ok, la metafora è orrendamente brutale… ma se fate questo lavoro sono pronto a scommettere che la cosa vi può interessare. E qui arriviamo a un primo dato di fatto su cui riflettere: le nostre giornate non hanno pressoché neanche un secondo di non ascolto.

Partendo da questo pensiero, vi faccio una domanda. Ha senso progettare una brand journey puntando esclusivamente su un senso (quello visivo)?… perchè le occasioni per far sentire il brand sono davvero infinite. Per deformazione personale, l’orecchio mi cade continuamente su touchpoint muti che potrebbero essere facilmente attivati. Qualche esempio pratico? Proviamo a fare un piccolo test.

Avete appena fatto un bancomat in una delle tantissime filiali della città, ne uscite e trovate me che vi chiedo di dirmi in che banca siete appena stati. Sono pronto a scommettere gli occhiali da vista (non di chissà quale valore…ma mi permettono di ritrovare la strada di casa e non baciare la vicina al rientro) che una percentuale inverosimilmente alta di voi farebbe scena muta. E giuro che non sto presumendo che siate un branco di rimbambiti, anzi. Ma, la verità è che a parte rarissimi casi di brand che hanno puntato su una diversificazione cromatica, l’experience in un bancomat è assolutamente piatta e neutrale. Eppure per una banca quello spazio dovrebbe rappresentare un touch-point fondamentale e, banalmente, a “costo zero”. Sicuramente ci sono totem e banner con promozioni imperdibili ma… oops… ve ne ricordate qualcuno? Ok, non voglio dire che la vostra unica soluzione sia questa ma, utilizzare un suono che identifichi il brand per dare il benvenuto, segnalare una transazione ben riuscita e salutarvi, potrebbe essere d’aiuto…non credete? E non intendo un beep generico o un “motivetto X”…

Lo stesso discorso potreste facilmente applicarlo a qualsiasi brand che abbia a sua disposizione uno spazio accessibile ad un pubblico. Anche in ambito trasporti come una stazione o un aeroporto. Il suono può avere un ruolo nel rafforzamento dell’immagine del brand per creare recall, ma anche uno emotivo o funzionale (per indicare ad esempio un percorso o richiamare l’attenzione verso qualcosa di nostro interesse che vorremmo fosse notato).

E lo stesso vale per l’altrettanto vasto mondo non-fisico. Quante volte vi è capitato di partecipare ad eventi digitali con lunghissimi momenti di vuoto sonoro. Il silenzio più totale. Beh, un’attesa non è un momento sufficientemente significativo per richiamare il brand anche sonicamente? Una salita virtuale sul palco, anziché portare ulteriore gloria a “We Are The Champions”, non potrebbe portarla a voi con una branded soundtrack concepita sullle basi del vostro DNA sonoro? E ancora, quante volte vediamo alla fine dei vostri video su YouTube o Facebook delle splendide animazioni del logo totalmente mute? Nel mondo digitale, Spotify ci insegna, un brand dotato di un audio logo è 8.5 volte più riconoscibile.

Se un brand vuole farsi sentire, oggi, non può più fare scena muta. That’s all folks!

Sono sicuro che molti di voi sono più che familiari con i principi dell’Audio Branding e mi sembra di sentire pure qualcuno sbraitare “Oibbò perdunque, io l’ho fatto nel’94 con “nomebrandmazzantiviendalmare”!”… fatto sta che nel 2022, in Italia, ancora molti, troppi, brand sfruttano solo ed esclusivamente i touchpoint visibili a propria disposizione, inserendosi a volte con scarso successo in un panorama visivo saturo di immagini e, per questo, non sempre capace di emozionare.

Quindi, fateci caso quando uscirete dalla vostra agenzia, di casa o dal luogo in cui trangugiate caffè alla ricerca della nuova big idea, attraversando universi e costellazioni di brand che cercano di catturarvi con le loro luci… provate ad ascoltare e chiedetevi se ammirando quel panorama, potete davvero sentire qualcosa.


Sito: Evoke The Spectrum 
IG: @evokethespectrum