Anderson Tegon è fondatore e Art Director di Pepper’s Ghost. Nato in Brasile nel 1985, è cresciuto a Peseggia, tipico paese della provincia di Venezia. Dopo una vita nel basket, ha poi viaggiato tra Cina, Stati Uniti, Londra e Parigi, paesi che lo hanno contaminato e formato creativamente. Ha trovato nell’arte digitale la sua naturale espressione per creare esperienze ed emozioni.
Buon caffè del martedì e buona lettura!
1 – Sei Art Director e Visual Artist. Come ti sei avvicinato all’arte e cosa ti ha appassionato?
Diciamo che prima di questo sono stato un cestista e da sempre sono molto curioso e adoro le sfide. Quando andavo a scuola ricordo che ci portavano sempre a vedere le mostre e non sempre le capivo, spesso non le trovavo attraenti. Questa cosa non mi piaceva e siccome di indole sono molto determinato, volevo capire a tutti i costi perché quel mondo mi sembrava così estraneo rispetto al mio.
Ricordo che ad un certo punto arrivò la rivoluzione dell’i-phone, il telefono per tutti.
Fu lì, in quel momento, che capii che per arrivare alle persone non era questione di che cosa dicevi ma era fondamentale il linguaggio utilizzato per dirlo.
Così iniziai a cercare un mio modo per comunicare quel mondo lì, il mondo dell’arte. Nel cercare, ho capito di essere propenso alla creatività ed essere propenso alla sensibilità artistica… le mie idee avevano un senso e potevano diventare un lavoro. Ho cominciato così a dare idee agli altri e con il tempo ho capito che il mio pennello erano le tecnologie, un linguaggio per me semplice.
Per questo ho creato Pepper’s Ghost ed è nato tutto.
È stata un’evoluzione. Un po’ come la vita… la vedo come un unico filo che si evolve a cui si aggiungono altri fili dove tutto è totalmente connesso.
2 – Prima del tuo percorso artistico e creativo eri un cestista e giocavi a pallacanestro ad alti livelli. Cosa ti ha insegnato lo sport e come ti ha aiutato ad arrivare dove sei oggi e a raggiungere i tuoi obiettivi?
Lo sport è la mia vita. È come respirare.
Quando faccio sport respiro, quando lavoro invece sono in apnea, provo una sensazione bella ma forte.
Penso che tutto quello che ho creato oggi, senza lo sport non sarebbe mai nato. Per creare quel tipo di visione serve tanta dedizione, tanto lavoro, tanta passione, tanta fatica e stress. Cosa che gli sportivi hanno come gestione naturale… uno sportivo impara a gestire uno stress che sia lungo o breve. Ma soprattutto impara a perseverare.
Al di là dell’idea di successo, quello che conta è la capacità di essere lucidi nel momento di difficoltà, il momento in cui tutti lascerebbero… che se ci pensi è il principio dello sport. Devo anche dire che io sono cresciuto nell’era di Micheal Jordan. Per me lui era mentalità. Diceva sempre: sono nato per vincere, non c’è altro scopo per me.
Creare quello che ho creato, bello o brutto che sia, ha molto a che fare con questa mentalità, quella di andare oltre, vedere oltre l’ostacolo e le difficoltà. L’arte stessa è questa cosa, penso che andare oltre sia il principio base dell’arte, vedere cose che gli altri non pensano è il principio dell’artista.
3 – Nella vita hai vissuto molto all’estero, da Shangai a New York. Quanto è stato importante, per il tuo percorso, frequentare e vivere queste grandi città?
Considera che io sono nato e cresciuto in un paese piccolissimo… bellissimo ma piccolissimo che arriva a malapena a 4.000/5.000 persone. Da sempre ho avuto la mente alla ricerca dell’infinito e quando arrivi a vivere, pensare e lavorare con una certa apertura mentale e libertà intellettuale cambia tutto. Ti rendi conto che anche le cose che vedi nei film sono realizzabili e che ci sono persone che lo hanno fatto davvero e che magari sono partiti dal niente come te.
Sai cosa penso che aiuti nelle grandi città?
Il fatto che il volume sia talmente grande che tu puoi essere tranquillamente te stesso e non c’è nessun problema… mentre in un paesino piccolo è più difficile. Ricordo la prima volta che sono sceso dall’aereo a Shangai, neanche la scritta uscita era come la conoscevo io. Lì il cervello deve muoversi… entra in gioco lo spirito d’adattamento, la ricerca.
Pensa che io sono un ragazzo di colore, cresciuto in Veneto, nell’ ’85 e cercavo il diverso. Abituarsi al diverso per me è stata una scoperta che ancora oggi mi emoziona molto.
Adoro il diverso.
4 – Uno dei tuoi ultimi progetti è AURA, l’installazione immersiva a Milano. Raccontaci di più. Come è nato il progetto? Quanto ci hai lavorato ma soprattutto quanta soddisfazione ti ha dato?
Aura è un progetto che ha più della follia che del progetto.
È nata a fine agosto del 2021 ed ha aperto al pubblico ad ottobre 2021.
Ricordo che un pomeriggio scrissi a una delle persone di Sila Sveta e ricevetti una risposta! Avevano risposto alla mia idea… alla mia visione e alla fine abbiamo lavorato insieme. Mi hanno ispirato per tutta una vita e per me è stata una soddisfazione immensa ricevere il loro feedback positivo.
Dentro ad Aura c’è tantissimo di me e di loro, è la sintesi perfetta della nostra visione artistica.
L’idea di creare uno spazio che interrompa il tempo è il principio assoluto dell’arte.
Quando una persona va ad una mostra fissa e si trova davanti ad un quadro si sente estraniato… per apprezzarlo davvero bisogna estraniarsi. La mia idea era di prendere i visitatori e non metterli davanti a un quadro ma fare in modo che lo spazio stesso fosse il quadro. Renderli protagonisti, come io non sono stato quando andavo a vedere le mostre… ho voluto usare quel linguaggio che avrebbe portato le persone dentro al quadro a livello sia emotivo che fisico. Per questo abbiamo voluto creare una realtà attiva per i visitatori rendendoli protagonisti e portandoli al centro di tutto.
È stato incredibile il feedback che ci ha dato questa iniziativa. Pensa che ho passato tanto tempo lì… in mezzo alle persone che mi dicevano: “è come prendersi una pausa”. È stato bellissimo perché era proprio quello che volevo!
5 – Se avessi un super potere, quale sarebbe e come lo utilizzeresti sul tuo lavoro?
Ti cito una frase di Bansky che dice: “Invisibility is a superpower”.
In un momento in cui tutti vogliono mostrare tutto, l’essere invisibile è un super potere.
L’invisibilità porta indirettamente un segreto e direi che Bansky è soprattutto un segreto.
L’arte non dà risposte, l’arte è fatta per porre domande mascherate da emozioni.
Era questo uno dei miei intenti in Ghost Over Bansky: in un mondo in cui tutti hanno la risposta a tutto riportare la bellezza del fare domande è un atto rivoluzionario.
Abbiamo la possibilità di avere facilmente tutte le risposte del mondo ma se vogliamo andare oltre davvero e vedere il senso dell’arte e delle persone, dobbiamo avere il coraggio di fare le domande giuste. Come l’arte.
Credits Intervistatore: Sara Fuoco Instagram: @sarafuoco Intervistato: Anderson Tegon Sito: www.peppersghost.it Instagram: @peppersghost_official Facebook: peppersghostart LinkedIn: Anderson Tegon Illustrazione di: Carlotta Egidi Instagram: @carlottaegidi89