I Negramaro compiono 20 anni e festeggiano insieme ai fan in un tour che, da giugno a settembre 2023, incanta il Teatro di Caracalla a Roma, il Teatro antico di Siracusa e toccherà ancora Galatina e l’Arena di Verona.
Si è appena conclusa la seconda tappa del tour per i 20 anni dei Negramaro e dopo le date sold out del 19, 21 e 22 luglio presso il Teatro Greco a Siracusa e il successo ottenuto con l’esordio del tour alle Terme di Caracalla durante i tre spettacolari concerti del 13, 14 e 16 giugno, la tournée dei Negramaro proseguirà facendo tappa all’aeroporto di Galatina. La data speciale “back home” del 12 agosto, per la quale sono attesi oltre 20.000 spettatori, sarà una grande festa che vedrà la partecipazione di numerosi ospiti e amici della band, come Lorenzo Jovanotti, Elisa, Fiorella Mannoia, Madame, Samuele Bersani, Niccolò Fabi, Diodato, Sangiovanni, Malika Ayane, Ermal Meta, Rosa Chemical, Ariete e Aiello.
In previsione del grande evento, abbiamo parlato di show design insieme ad Andrea Celi e i Cromazoo, show director e video designer del tour.
Andrea Celi - Show director
Ciao Andrea, raccontaci il tuo ruolo in questo progetto. Di cosa ti sei occupato durante la preparazione dello show e nel momento del live?
Ne ho curato la direzione creativa. Al mio fianco c’erano i Cromazoo per la parte dei contenuti video, Tommaso Lamantia, che ha disegnato la scena e Blearred per il light design. Friends & Partners ha supportato l’intero processo.
La preparazione dello show nasce da un caffè molto lungo e da “sua maestà” il concept. Quando la band approva la prima pietra, si passa alla scrittura di scena, una sorta di drammaturgia che rende viva la scenografia, trasformandosi in contenuto e quindi in racconto visivo. È una lenta progressione, passaggi delicati che hanno bisogno di una regia d’insieme costante, di un pensiero fermo ed elastico, sonoro e resistente alle facili sirene del “va bene così”.
Qual è stata la tua visione creativa del tour e quali elementi hai cercato di enfatizzare?
All’inizio devi trovare la giusta frequenza con la band.
Non amo particolarmente il mondo “concertaro”, non amo gli “artismi”, la retorica degli ambienti di produzione in adorazione del musicista, non sono un rassicuratore di anime sensibili e in questo lavoro non facciamo oroscopi. Nel caso dei Negramaro però ti siedi di fronte a persone che lavorano insieme da più di vent’anni, che hanno un immaginario artistico ben preciso in testa e che al tempo stesso sanno mettersi in discussione e confrontarsi, sanno ispirarti e lasciarsi guidare dove serve.
Piano piano abbiamo trovato una solida sintonia, pulita, spontanea. Fin dal primo incontro ci sono state idee, riferimenti culturali e musicali che spaziavano da una parte all’altra: si passava dall’universo Tale of us a Walkscapes (un libro di Careri che consiglio), dai modelli della tragedia greca alla musica come orientamento nello spazio.
E poi la loro storia: tra loro c’era questa tensione sublime che si respira solo nelle profondità di amicizie ventennali, professionali, umane, radicali. Quelle amicizie colossali che mi accendono!
Come hai scelto il concept per questo tour e quale messaggio volevi comunicare attraverso l’aspetto scenico?
Volevo che la musica si vedesse. Volevo lavorare per sottrazione e svuotamento. Molti concerti lavorano per accumulo collettivo di effetti. In questo caso volevo che le persone guardassero i brani come un film.
E poi c’erano i teatri di pietra (Caracalla, Siracusa, Arena di Verona).
Abbiamo immaginato 6 elementi in scena come menhìr che emergono dalla terra tracciando un territorio sonoro, un’esagramma solido, come colonne piantate nel sottosuolo su cui sono incisi racconti accumulati nel tempo e tradotti in segni, immagini, scenari tridimensionali. Avevo in mente i modelli della tragedia antica e la multidimensionalità di un’installazione contemporanea, volevo dare l’idea di uno scenario tridimensionale, primitivo e tecnologico al tempo stesso, qualcosa che avresti potuto lasciare lì anche dopo il concerto.
Quali sono state le principali sfide che hai affrontato nel creare lo spettacolo e come le hai superate?
Bisognava creare venti scenari diversi per venti brani è non è stato semplice. Volevo creare quel meccanismo in cui lo spettatore non vede l’ora di vedere il prossimo quadro. Ho lavorato a mano: scrivevo e disegnavo storyboard dalla mattina alla sera, per creare qualcosa di pienamente pensato, qualcosa che parlasse di loro e con loro, in una sorta di grande intimità esibita. Provavo a pensare i brani come episodi.
Bisognava dare forma a 20 mondi diversi e per ognuno di essi bisognava studiarne l’evoluzione; anche perché una canzone dal vivo dura circa 6-7 minuti e la costruzione visiva non può diventare solo uno sfondo “carino” a supporto.
La scena con 6 elementi tridimensionali paradossalmente ti limita perché definisce molti più confini spaziali rispetto ad altre soluzioni come il canonico “schermo gigante con le luci”. Allora l’obiettivo preciso fin da subito è stato quello di “smentire” man mano questi monoliti. A volte erano contenitori, altre volte elementi materici, tasti di un pianoforte, finestre in scena o superfici che scomparivano o si mimetizzavano nel piano scenico grazie a luci e colori. Era fondamentale farli integrare con l’ambientazione totale di teatri aperti e potenti come Caracalla, Siracusa, Arena di Verona.
Quali elementi chiave hai considerato nell’organizzazione della scaletta e nella creazione di una narrazione coerente durante lo spettacolo?
Volevo cimentarmi nell’ardua prova di trasformare un bel concerto in uno spettacolo audio-visivo in cui il video non è un “effetto” a supporto dell’esibizione, ma diventa una sceneggiatura in 20 episodi che disegna e ridisegna la scena con perpetua magia, senza essere didascalico.
Cromazoo - Video designer
Ciao ragazzi, raccontateci il vostro ruolo in questo progetto e come si è sviluppato nel processo di creazione dello show.
Il progetto ci ha visti alle prese con la produzione di tutti i contenuti visivi, ma non solo.
Innanzitutto la prima vera fase è dedicata all’ascolto. Ogni volta che ci capita un progetto come questo cerchiamo di inserirci in punta di piedi. L’ascolto è rivolto sia alle persone che lavorano e orbitano attorno agli artisti (dalla produzione allo sviluppo creativo ed artistico), sia ai brani musicali che di fatto rappresentano l’ossatura del nostro lavoro.
Il primo passo è trovare il modo migliore per interpretare le esigenze di ognuno e far sì che si lavori bene insieme. Poi seguono 3 fasi che sono quelle di ricerca e interpretazione, rappresentazione e finalizzazione.
Sono fasi importanti, soprattutto per aiutare Andrea a mettere a terra quello che aveva in mente proponendo soluzioni creative diverse tenendo sempre d’occhio i termini di fattibilità nei tempi… perché c’è da dire che abbiamo corso davvero tanto!
Come si è unita la vostra parte insieme a quella di Andrea e qual è stata l’interazione con gli artisti?
Quando Andrea ci ha chiamati per raccontarci il progetto, lo abbiamo accolto subito con grande entusiasmo. Andrea è prima di tutto un amico. Ci siamo conosciuti per lavoro tanti anni fa e subito c’è stata sintonia. La sua professionalità e le sue competenze sono state fondamentali in un progetto di questa portata.
Dal canto nostro abbiamo messo a disposizione le nostre abilità per costruire 20 mondi diversi da far vivere su 6 monoliti che a volte vivono come singole entità e altre volte come una tela unica su cui dipingere ritmo ed emozioni.
Per farlo è stato fondamentale il rapporto con la band. C’è stato un dialogo molto costruttivo, con ciascuno di loro. Un aspetto importante è stato anche il ritrovarsi. Sì, perché con loro avevamo già collaborato 15 anni fa in occasione del tour “La Finestra”, ed è stato emozionante rincontrarsi tra coetanei dopo tutto questo tempo e vedere l’evoluzione, anche personale, che ognuno di noi ha avuto.
Quali elementi tecnologici particolari o innovativi sono stati utilizzati durante il concerto?
L’innovazione sta più nella messa in scena, nell’integrazione del video con la struttura scenografica che a sua volta è stata pensata per integrarsi con i teatri di pietra in cui il tour farà tappa. Studiare il dialogo tra le varie parti dello show. Per esempio è stato fondamentale il lavoro fatto con i light designer per poter creare la giusta dinamica scenica.
Quanto pensate che i video abbiano arricchito l’esperienza complessiva del tour e quali sono state le vostre aspettative iniziali rispetto al loro impatto sul pubblico?
I video sono di fatto una parte fondamentale dello show, sono alla base dell’esperienza complessiva perché ti immergono in 20 mondi da scoprire o semplicemente da contemplare lasciandoti guidare dalle note della band. Sono un po’ il metronomo emotivo dello show.
All’inizio, già in fase di storyboard, si vedeva chiaramente che si trattava di un progetto ambizioso, ma il risultato ha superato ogni aspettativa.
Andrea Celi e Cromazoo
Che rapporto si è creato con il resto del team e soprattutto con la band?
A.C. Con la band si è creato un rapporto molto schietto fin da subito, come se ci conoscessimo da tempo. Non sapevo mai fin dove potevo spingermi, ma la loro umiltà mi ha fatto entrare pian piano nelle loro dinamiche. Non mi hanno mai fatto sentire come il fornitore di un servizio, ma un interlocutore, un osservatore.
Con il team, il rapporto è stato pazzesco. I Cromazoo hanno dato tutto in questa produzione, con grande dedizione e arte del contenuto. Avevamo sei monoliti in scena e servivano dei designer dell’immagine. Credo mi odino, ma vivere il loro entusiasmo per due mesi di fila, senza gli imbruttimenti classici da produzione, è stato di grande insegnamento per me e un segno di grande statura professionale.
C. Lato nostro, nessun odio, anzi!
È stato sfidante, è vero, ma anche molto coinvolgente e appassionante. Il confronto con Andrea è sempre costruttivo e mai banale. Con la band si è creata una forma di sinergia inusuale, dove le richieste venivano sempre messe sul tavolo e argomentate per dare a noi la possibilità di entrare nel loro mondo e catturarne l’essenza.
Qual è stata la parte più gratificante del tuo lavoro in questo tour?
A.C. Le cene e i pranzi. Gratificano i tempi vuoti e facevano prendere aria ai dubbi.
C. È vero, rappresentano i momenti più distensivi. Ma crediamo anche che lo spirito di gruppo che si è creato durante la produzione sia stato uno degli aspetti più gratificanti. C’era una bella energia e questo è impagabile.
C’è qualche momento o aspetto specifico dello spettacolo che hai trovato particolarmente emozionante?
A.C. Sono stati due i momenti: il primo è quando ci siamo seduti insieme alla band a guardare sulla scena tutti i contenuti come fossimo al cinema. Quattro ore di valutazioni, i primi dubbi, le cose da valorizzare, da cambiare. Tutto molto complesso, ma lì si era capito che iniziavamo ad entrare in frequenza.
E poi, la data zero. Quando tutto è iniziato. Emozione totale.
C. La data zero di sicuro. Il momento in cui vedi il tuo lavoro in azione, con la giusta prospettiva, con tutti i tasselli al loro posto. Vedere questa magnifica macchina scenica prendere vita è emozione pura. Qualche lacrimuccia è venuta giù eh!
Hai qualche consiglio o suggerimento per coloro che aspirano a svolgere il tuo lavoro nei tour musicali?
A.C. Non prendetevi troppo sul serio.
C. Caffè. Tanto caffè.
Credits Intervistatore: Sara Fuoco Instagram: sara.fuoco Linkedin: Sara Fuoco Intervistato: Andrea Celi Instagram: @dr_celi Linkedin: Andrea Celi Intervistato: Cromazoo Instagram: @cromazoo Linkedin: Cromazoo