Un caffè con… Marco Boarino – Showmaker

Marco è regista, direttore artistico e creativo multidisciplinare che scrive, crea e dirige spettacoli dal vivo in tutto il mondo dal 2005. Con una consolidata esperienza internazionale nella regia, direzione artistica e creativa di spettacoli di teatro urbano site specific, performance di grande formato, cerimonie di apertura e chiusura in diretta televisiva mondiale, spettacoli istituzionali e festival di luce. Collabora con le principali agenzie internazionali, Comuni, Festival, Enti, Editori.

La passione per il proprio lavoro la trasmette ai giovani insegnando Regia Teatrale e delle Arti Performative allo IED di Milano.

Buon caffè e buona lettura!


Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare

Fabrizio De Andrè

1 – Ci siamo conosciuti in occasione di Cortina 2021, evento per il quale hai diretto la cerimonia di chiusura e recentemente hai lavorato all’opening del Porsche Experience Center in Franciacorta. Da sempre hai diretto show e grandi eventi. Quando eri piccolo, sognavi questa carriera? Come hai scoperto la tua strada?

Quando ero piccolo non pensavo assolutamente che avrei fatto questo lavoro ma guardandomi indietro ci sono stati degli episodi chiave che hanno disegnato una rotta ben precisa.

Da bambino, come quasi tutti, il sogno era di giocare a calcio ma ricordo ancora con estrema chiarezza l’odore della sala del cinema ed il pugno allo stomaco quando scesero le luci prima di proiettare E.T.  Avevo cinque anni e ancora oggi quando scrivo uno spettacolo, cerco sempre di spingere l’immaginazione per creare un’emozione inaspettata come quella di Elliott che vola in bicicletta davanti alla luna. L’unicità poi della relazione tra il bambino e l’alieno, come sintesi estrema della meraviglia che si crea quando accogliamo il diverso e l’ignoto, è un’altra pietra fondante della multidisciplinarietà che contraddistingue da sempre i miei lavori.

Da ragazzo volevo fare il medico, ero interessato solo a sport, ragazze ed amici, per niente ad Arte, Cultura, Politica. Fu galeotto un corso di Teatro al Liceo, la frequentazione del Teatro Verdi negli anni del Teatro di Narrazione (Baliani e Paolini su tutti) ed un giorno d’autunno quando il mio insegnante – che scriveva i testi per Studio Festi – ci disse se volevamo fare “gli aiutanti” per uno spettacolo sul lago di Como. Per chi non lo conoscesse, Studio Festi è stata la più grande Compagnia di Teatro Urbano del mondo, dagli anni 80 ad un decennio fa.
E così, a 17 anni, mi sono trovato in mezzo a macchinerie aeree con danzatrici, grandi sfere trasparenti con performer dentro che galleggiavano sullo specchio del lago, proiezioni architetturali, carri in movimento.
Non ho capito più niente! Mi sono messo a suonare la batteria e con gran delusione dei miei genitori (che poi sono diventati i miei più grandi sostenitori) ho deciso di non frequentare Medicina per iscrivermi  a Lettere Moderne all’Università di Pavia per seguire i Corsi di Storia del Teatro e dello Spettacolo del Prof. Sisto dalla Palma e di tutte le attività legate al CRT.

Mentre preparavo gli esami, lavoravo come attore nel circuito di Teatro Ragazzi con tournée in Italia ed Europa e giravo il mondo con Studio Festi come scenotecnico specializzato in discipline aeree. Un giorno, in un albergo di Tokyo, un amico mi passa “OK computer” dei Radiohead e quel disco perfetto è stata una rivelazione: avevo vent’anni e da lì è cambiata radicalmente la mia relazione con la musica, diventando il fondamento di ogni spettacolo, la drammaturgia di quelle creazioni senza testo che guida con la barra del timone ben dritta verso la costruzione dello spettacolo dal primo all’ultimo secondo. Dal 2000 al 2005 ho  progressivamente smesso di recitare per partecipare come spettatore a Festival di Arti Performative, stagioni di danza e teatro in tutta Europa. 
Ho iniziato a studiare produzione musicale e così ho progressivamente smesso di suonare per dare forma alle musiche degli altri: senza accorgermene, stavo scendendo dal palcoscenico verso la platea e più indietro verso il luogo che mi attirava di più, la Regia.

Continuavo a lavorare come scenotecnico per Studio Festi ma mi fermavo le notti a osservare i Lighting Designer e a tempestarli di domande, come non perdevo una prova di danza e performance e anche lì martellavo  le coreografe per insegnarmi a decifrare la danza e la performance. Nel 2003, dopo un paio di mesi che stavo scrivendo la tesi di laurea in Storia del Teatro e dello Spettacolo, frequento il corso dell’ultimo esame che mi mancava: Antropologia Culturale.

Ho sostenuto l’esame, poi un altro extra, e invece che scrivere la tesi, ho passato settimane in biblioteca a leggere qualsiasi pubblicazione in materia. Un giorno la Docente mi dice “Boarino, le interessa una tesi di ricerca sul campo Benin per fare la tesi con me?”. Ed io, che non sapevo neanche dove fosse il Benin, ho accettato subito e qualche mese dopo sono partito per l’ultimo tassello che mancava: un viaggio di tre anni per acquisire le modalità di conoscenza profonda dell’altro, del diverso, lo stare lontano da me, per trovare un canale di comunicazione e di scambio reale e profondo. Ad ogni proposta di spettacolo, la prima cosa che faccio non è fare ricerca online ma partire per vedere, ascoltare, osservare. Le mie creazioni Site Specific nascono sempre da quell’approccio. Il primo spettacolo è stato nel 2005, per lo spettacolo di Apertura del Festival di Drammaturgia Contemporanea Astiteatro. Con i miei due coinquilini, produttori ed organizzatori, abbiamo partecipato, abbiamo vinto e – con grande incoscienza – abbiamo debuttato.
E da lì è partito il viaggio. 


2 – Quanto è importante la multidisciplinarità per te e nel tuo lavoro?

È la mia peculiarità principale, il dialogo, la conoscenza, la connessione del diverso e dell’opposto. Me l’ha svelato E.T., ho imparato ad attivarlo in Benin, l’ho osservato a teatro, al cinema, nelle piazze e per le strade.


3 – Quali emozioni provi poco prima dello start di uno show visto in diretta da migliaia di persone? E cosa provi durante e a fine evento?

Un cazzotto allo stomaco, il buio che pervade gradualmente lo spazio, è il momento che preferisco. La prima volta è stato al cinema a 5 anni. La prima volta non si scorda mai. 

Durante sono in apnea, alla fine un grande senso di leggerezza, come volando in bicicletta davanti alla luna, il giorno dopo tanta malinconia e nostalgia, quello dopo compilo la lista degli errori che ho fatto.


4 – Insegni regia teatrale e delle arti performative allo IED. Quali consigli dai ai tuoi ragazzi iniziano il loro percorso nel mondo del lavoro?

Il mio corso prevede un volo di uccello sulla storia del Teatro, focalizzandosi sui luoghi, le persone e la materia.
Le radici sono importanti: gli eventi nascono dalla forma più antica di rappresentazione che ha più di due millenni di storia e si chiama Teatro. Senza conoscenza non si fa da nessuna parte.

Li invito sempre a dedicare tanto tempo al porsi le domande giuste, che di risposte ne abbiamo fin troppe. Quando la domanda è a fuoco, la risposta è chiarissima ed inequivocabile. Sta poi solo alla nostra forza di volontà e tenacia. Gli esiti delle loro esercitazioni sono sempre sorprendenti nel momento in cui gli vengono forniti gli strumenti per dare forma alla loro immaginazione.

Mi chiedono sempre di raccontargli la mia storia il “come hai hai fatto a fare quello che fai”.
È tutto nella risposta alla prima domanda …


5 – Se avessi un super potere, quale sarebbe e come lo utilizzeresti sul tuo lavoro?

Ristabilire l’equilibrio tra la vita personale e quella lavorativa. 

Il nostro è un lavoro appassionato, viscerale e adrenalinico, il mestiere più bello del mondo ma che rischia di mangiarti e inaridirti perchè sembra sempre che stiamo salvando l’umanità o operando a cuore aperto.
In Benin ho conosciuto Gaelle, mia moglie, la vera artista della famiglia, con la quale abbiamo completato il nostro equipaggio con (oggi) due quasi ragazzini di 10 e 12 anni, che ho fin qui vissuto in ogni momento importante della loro vita, rinunciando anche a svariate offerte internazionali che mi avrebbero fatto fare una carriera diversa ma portandomi lontano da loro. Quando nel 2011 ho ricevuto “la proposta professionale della vita” che mi avrebbe portato però a rinunciare a vedere nascere il mio secondo figlio, mi sono sorpreso della scelta che ho preso senza alcuna esitazione: ho scelto la vita.

Quella decisione mi ha dato più forza, più consapevolezza e mi ha aperto orizzonti professionali inaspettati. Questi ultimi 12 anni mi hanno insegnato la cosa più importante e cioè che il lavoro non è la vita, che per essere un bravo regista e direttore artistico, ho bisogno di essere un uomo completo: un lavoratore, un individuo, un amico, un marito, un padre.
O tutto o niente.


Credits    
Intervistatore: Sara Fuoco    
Instagram: @sarafuoco    

Intervistato: Marco Boarino
Instagram: @marcoboarino
Facebook: Marco Boarino
LinkedIn: Marco Boarino
Sito: www.marcoboarino.com

Illustrazione di: Carlotta Egidi   
Instagram: @carlottaegidi89