La mostra ospitata nel bellissimo Palazzo delle Esposizioni di Roma e visitabile fino al 27 febbraio 2022 è divisa in tre parti e vogliono essere tre letture del tema Arte e Scienza, declinato dal punto di vista storico, artistico e scientifico. Due delle quali occupano il piano terra (quello della biglietteria) e la terza il piano superiore del palazzo.
Perché la mostra si chiama 3 “stazioni”?
Il termine è stato coniato (per la scienza) nella seconda metà dell’Ottocento per indicare posti in cui ci si incontra, si sperimenta, si dialoga. Ma il richiamo vuole essere anche quello alle nostre “stazioni” quotidiane da pandemia: le postazioni al computer sulla scrivania di casa, da cui abbiamo interagito con il mondo senza doverci togliere nemmeno il pigiama.
La mostra.
Le tre stazioni sono molto diverse tra loro, per aspetti espositivi, interattività, allestimento e temi. Si sposano però molto bene tra loro ed è davvero interessante passare dall’una all’altra seguendo i fili di un unico intreccio, quello tra arte e scienza. I cataloghi, che ci aiutano a comprendere i contenuti, separati delle tre stazioni, hanno un’identica grafica e impaginazione ma diversi colori di copertina e risultano molto funzionali nell’insieme.
Il punto di vista artistico è la prima stazione che si incontra al piano terra e comprende opere davvero sorprendenti e, a uno sguardo attento, anche molto interessanti. Proverete la sensazione di camminare su Marte all’interno di un’installazione incredibilmente realistica. Molto curiose anche le opere di ispirazione matematica fatte di dadi, numeri o bastoncini, così come l’installazione che rappresenta un corpo macchina composto da strumentazioni di ingegneria biomedica e quelle sulla “comunicazione molecolare” che crea forme e colori fantastici.
La stazione più scientifica, dedicata al tema oggi cruciale dell’incertezza, è forse la più sacrificata, trovandosi in stanze meno monumentali. O forse semplicemente è quella che richiede più attenzione e concentrazione e non stupisce visto che è quella progettata per parlare al pubblico di come la scienza, in molte sue articolazioni, dà un senso all’incertezza. Fanno parte di questa terza stazione della mostra alcune installazioni spettacolari, come un simulatore dell’andamento della pandemia che permette di tenere il conto grazie a diversi parametri e proietta su parete e soffitto di una grande stanza, tutta la complessità della situazione umana attuale.
Il punto di vista storico è al piano superiore e racconta la scienza che si fa e si è fatta a Roma, ed è la parte più scorrevole e narrativa, quella che colpisce di più il visitatore, anche non locale, per l’idea che c’è dietro. Roma è, ovviamente, un centro culturale importante ed ha enormi risorse storiche, archeologiche ed universitarie. Ma adesso, racconta la mostra, si tratta di orientare il progresso del paese e di farlo in un posto dove ciò possa avvenire. È così che fioriscono fisica, astronomia, sanità pubblica, antropologia. Tra istituti di ricerca, università, osservatori e laboratori, a Roma si accumula un patrimonio incredibile di oggetti, collezioni preziosissime e uniche.
Eppure, paradossalmente, a Roma non c’è un museo della scienza.
La stazione cerca di essere un primo risarcimento a questa mancanza, soprattutto per una delle funzioni che il museo svolge e che è sotto-traccia di tutta la mostra: quella di favorire un ideale dialogo tra comunità scientifica e pubblica e all’interno della comunità scientifica un dialogo tra quelle che (per comodità, ormai, forse) consideriamo discipline diverse. Passeggiando nelle sale di questa stazione si può vedere parte dell’incredibile patrimonio custodito, qua e là, dalla città: dai crani dei Neandertal italiani alle lettere di Einstein ai matematici italiani, alle testimonianze della scuola di fisica di Via Panisperna.
Si esce dalla mostra pensando che un sacco di quelle cose magari le sapevamo già. Ma le avevamo in mente sparpagliate e soprattutto immateriali. Vedere lì gli oggetti tangibili che sono stati prodotti e creatori di tanta intelligenza scientifica, beh, fa effetto. Soprattutto si capisce perché si senta spesso dire, con un po’ di retorica, che per costruirsi un futuro solido bisogna conoscere le proprie radici.
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