Caterina è romana ma milanese d’adozione, lavoratrice appassionata ma un po’ troppo stacanovista, amica sincera, fedele compagna di birrette, entusiasta e curiosa, spesso in ritardo.
Direttore di produzione in Piano B, Caterina ci ha raccontato la sua esperienza e la passione che nutre per il suo lavoro.
Buona lettura e buon caffè del martedì!
1 – Da più di dieci anni lavori nel settore dell’intrattenimento. Racconta a chi non conosce il tuo ruolo cosa significa fare il direttore di produzione nel mondo degli eventi.
La produzione di un evento è quel processo che permette all’idea creativa di trasformarsi in realtà. Seguirne il processo significa trovare le soluzioni progettuali, logistiche ed economiche affinché questo avvenga nel migliore dei modi. La produzione di un evento è un iter spesso complesso e meno lineare di quello che si possa pensare: i progetti cambiano, evolvono e si trasformano fino a un minuto prima dell’inizio. L’elasticità, lo spirito di adattamento, la comprensione del contesto e il famoso “problem solving” i sono requisiti fondamentali di questo settore.
Il direttore di produzione imposta il team di lavoro, sceglie i fornitori, coordina le operazioni e la timing di ogni progetto. Controlla che tutto proceda come previsto e, in caso negativo, modifica i piani e trova soluzioni alternative. Entra in contatto con tutti gli altri reparti del progetto: dalla creatività all’amministrazione, dal commerciale alla logistica, dai collaboratori freelance ai fornitori esterni. È un ruolo stimolante, che ti permette di metterti alla prova con sfide sempre diverse, di lavorare ogni volta in scenari differenti e con persone nuove, di vedere luoghi nascosti ai più. È un ruolo faticoso, ti toglie tempo e sonno ma ti insegna a gestire i rapporti con le persone e il peso della responsabilità.
E la soddisfazione che si prova nel momento in cui finalmente si vede l’idea trasformata in realtà è per me impareggiabile, una fonte di energia incredibile.
2 – Sei di origini romane e ci hai raccontato che inizialmente, dopo gli studi a Milano, il programma era rientrare a Roma. Dopo tanti anni sei rimasta a Milano, cosa ti ha dato questa città e cosa ti ha spinto a rimanere?
Sono rimasta perché, prima ancora di finire il percorso di laurea magistrale, ho avuto la fortuna di trovare un lavoro di cui mi sono innamorata, che mi ha dato una motivazione, uno scopo, che mi ha permesso di entrare in contatto con persone da cui ho imparato (e continuo a imparare) moltissimo, che stimo profondamente e che sono diventate una famiglia molto più che dei semplici colleghi.
La motivazione che mi permette di alzarmi dal letto quando mi sveglio al mattino e le relazioni umane sono le due cose più importanti per me. Quando in passato è capitato che in un lavoro una di queste venisse meno non ho esitato a cambiare. Inizialmente non è stato affatto facile “rinunciare” a Roma ma con il tempo sono riuscita a mettere d’accordo cuore e cervello e accettare la mia vita a Milano e adesso, quando mi chiedono come mi trovo in questa città, scherzando rispondo che ormai mi sono rassegnata.
3 – Quali eventi ti appassionano di più e a quale tipologia di iniziativa preferisci lavorare?
Lavorativamente sono cresciuta con esterni, che non è un’agenzia ma un’associazione culturale che autoproduce tutti i suoi progetti e, in un periodo storico in cui Milano era ancora molto chiusa, aveva come “missione” quella di rendere vivibile lo spazio pubblico. L’imprinting culturale è rimasto fortissimo e negli anni ho sempre cercato di lavorare il più possibile in questo ambito, che amo ancora molto: dai festival di musica a quelli di cinema, dalle mostre d’arte alla riqualificazione degli spazi abbandonati. I progetti più commerciali sono sempre stati una necessità più che una scelta, il compromesso necessario per pagare le bollette a fine mese.
E non credo sia un caso adesso che il mio percorso mi abbia portato a collaborare a tempo pieno con Piano B, l’agenzia meno convenzionale di Milano.
4 – Raccontaci un evento che porti nel cuore.
Sicuramente il Milano Film Festival: è il progetto attraverso cui ho imparato questo mestiere e che mi ha permesso di crescere moltissimo sia professionalmente che come persona. Trattandosi di un’autoproduzione mi ha permesso di conoscere degli aspetti della costruzione di un evento che non sono sempre scontati, poiché non essendoci un cliente alle spalle tutto il team veniva coinvolto nell’intera realizzazione dell’evento: dai contenuti, agli allestimenti, che costruivamo autonomamente nel nostro magazzino / laboratorio di falegnameria.
È il progetto in cui ho imparato a organizzare un reparto dividendo compiti e responsabilità, a impostare un excel per fare un piano di produzione, ma anche come si usa una troncatrice o un flessibile, come si carica un furgone, come si montano delle strutture in layher, come movimentare un container. Ho imparato come fare accettare agli altri che una ragazza di 24 anni (l’età che avevo alla mia prima edizione da direttore di produzione) potesse avere un ruolo di responsabilità in un evento così complesso.
Ho imparato cosa vuol dire lavorare con tante persone diverse (arrivavamo ad essere più di 100 persone di staff), trovare soluzioni creative per necessità concrete (come l’ideazione della casa dei registi per l’accoglienza degli ospiti internazionali che non sarebbe stata sostenibile con una rooming tradizionale né avrebbe permesso lo scambio di esperienze e la socializzazione tra pubblico, ospiti e staff che era tipica del festival) ma soprattutto è il progetto in cui ho imparato che le persone di cui ti circondi sono la cosa più importante di tutte.
5 – Se avessi un super potere, quale sarebbe e come lo utilizzereste nel tuo lavoro?
Il teletrasporto 🙂
Credits Intervistatore: Sara Fuoco Instagram: @sarafuoco Intervistato: Caterina Lana LinkedIn: Caterina Lana Illustrazione di: Carlotta Egidi Instagram: @carlottaegidi89