Giorgio è nato in mezzo a disegni tecnici e truciolo. Cresciuto tra la passione per la pallacanestro e la curiosità per l’azienda di famiglia. Dopo un “lungo corteggiamento” Giorgio oggi è dirigente di Allestimenti Benfenati spa, società che si occupa di allestimenti temporanei di grande complessità e non solo.
Tra un allestimento e l’altro siamo riusciti a prendere un caffè insieme. Buona lettura del martedì!
1 – Sin dal liceo hai sentito parlare di eventi e allestimenti grazie all’azienda della tua famiglia. Cosa ti ha spinto a volerne far parte attivamente? Raccontaci oggi di cosa ti occupi.
Potrei dirti che ero destinato fin da piccolo ad entrare in azienda ma non è così.
Mio nonno – Giorgio – era un artigiano: realizzava a mano insegne e decorazioni per gli stand con polistirolo, legno e le dipingeva a mano.
Mio padre – Roberto – dalle medie ha sempre aiutato il nonno, si è laureato in architettura con una tesi sugli allestimenti mentre lavorava. Si è sempre dedicato a questo business costruendo, con il nonno prima e con mio zio e mia mamma dopo con Allestimenti Benfenati, azienda che, come noto, lavora nel mondo dell’allestimento temporaneo. Direi che in casa si è sempre respirata quest’aria ma i miei genitori, che ringrazio moltissimo, mi hanno lasciato totale libertà nello scegliere scuola, università e progetti per il futuro. L’unica cosa su cui hanno giustamente insistito era che prendessi un diploma ed una laurea, a prescindere da ciò che avessi fatto.
La curiosità però l’ho sempre avuta. Forse per la libertà lasciatami e forse perché se ne parlava in casa ho sempre teso un orecchio ad AB. Ho cominciato a “sbirciarla” a 16 anni durante le vacanze estive in cui ho svolto il mio primo lavoro di montaggio: un progetto a Berlino, nel vecchio aeroporto militare. Di lì in poi, ogni estate, ho sempre lavorato per l’azienda svolgendo lavori manuali: falegnameria, pittura, magazzino, montaggio, smontaggio… È stato un corteggiamento da lontano con l’azienda, come se volessimo capire entrambi se fossimo fatti l’uno per l’altra.
Pensandoci ora mi rendo conto che avevo già scelto cosa fare: alla fine delle superiori mi ricordo che mi ero confrontato con mio padre per capire quale indirizzo universitario scegliere in modo che fosse funzionale al mio ingresso in azienda. Il corteggiamento da lontano… forse non era così lontano!
Sono entrato ufficialmente in azienda nel settembre del 2017, esattamente 7 giorni prima della mia proclamazione di laurea in economia. Inizialmente ho affiancato i project manager più esperti ed i dirigenti per capire alcune cose fondamentali: il linguaggio, i processi, i ruoli e le mansioni, conoscere fornitori, clienti e come relazionarmi con loro. Il ruolo poi si è evoluto naturalmente, tolto il disegno tecnico di cui non mi sono mai occupato, ho fatto praticamente tutto, dalla preventivazione alla gestione del cliente, dal guidare furgoni per trasporto materiale alla programmazione delle squadre.
Oggi, in quanto dirigente, oltre a compiti pratici devo avere anche un progetto per il futuro. È come se fossi il comandante di una nave: insieme agli altri dirigenti d’azienda valutiamo dove mettere la prua oggi per raggiungere i traguardi futuri domani.
2 – Lavorare in un’impresa di famiglia ha sempre dei vantaggi e degli svantaggi. Quali sono per te i pro e i contro? C’è qualcosa che cambieresti?
Più che di vantaggi e svantaggi parlerei di aspetti positivi e meno positivi.
Tra i primi sicuramente c’è il fatto che in Benfenati non sei un numero, sei una persona che viene valorizzata come tale ed in secondo luogo come professionista. Questo non vuol dire che tralasciamo il tema tecnico ma la conoscenza della materia e l’atteggiamento proattivo sono condizioni imprescindibili per entrare in azienda.
L’altro aspetto positivo è che tutte le idee vengono ascoltate e valutate. Chiaramente non tutte possono essere adottate ma è capitato spesso che suggerimenti delle persone che lavorano in azienda venissero messe in pratica.
Paradossalmente l’aspetto meno positivo è proprio lo stesso che citavo come positivo: la vicinanza.
L’azienda è cresciuta come azienda familiare, con i suoi equilibri, regole e ruoli. Ora che ci stiamo evolvendo ad azienda manageriale è fisiologico che emergano delle difficoltà. Penso sia normale. Un conto è quando si è in dieci, ognuno fa tutto, in un unico spazio condiviso, i rapporti sono informali e ci sono regole non scritte ma ugualmente condivise: c’è una certa cultura aziendale. Ora che siamo più di cinquanta è fondamentale avere ruoli, regole, procedure ed è normale che si crei un po’ di “distacco” tra di noi.
La nostra cultura aziendale, l’imprinting “familiare” rimane: è un nostro punto di forza e ci teniamo molto ma, come detto, per crescere subentrano delle regole che agevolano il lavoro di tutti e tutelano sia l’azienda che i dipendenti.
3 – Il 90% dei vostri clienti sono agenzie di eventi e comunicazione. La produzione e l’allestimento sono il cuore pulsante di un progetto e la messa a terra è sempre il punto cruciale. Rispetto al supporto che date ai vostri clienti, quali difficoltà riscontri nel processo di sviluppo di un progetto?
Innanzitutto, credo sia giusto chiarire cosa facciamo in Benfenati.
Noi non progettiamo. Siamo al servizio di altre aziende – studi di progettazione e agenzie – e ci occupiamo di ingegnerizzare, ovvero tradurre in pratica, produrre, montare e smontare i loro progetti.
Ti direi che la difficoltà maggiore è trovare un linguaggio comune.
Spesso ci arrivano progetti e budget già “battezzati” dall’agenzia col cliente finale. Ovviamente sarebbe più semplice se noi fossimo a fianco di chi progetta già dalle fasi precedenti, per poter formulare un preventivo più mirato, sia in termini estetici (materiali e finiture) che in termini di soluzioni tecniche.
Due aspetti su tutti sono spesso decisivi: la logistica e le tempistiche di produzione.
Noi possiamo anche avere tempi di produzione veloci aumentando i turni o la forza lavoro ma alcuni processi di lavoro richiedono tempi che non sono contraibili (ad esempio l’asciugatura delle verniciature, incollaggi che necessitano di tenere pezzi in pressa…).
Un altro tema è il cosiddetto gantt di produzione: ovvero la pianificazione.
Faccio un esempio: su alcune produzioni a volte siamo bloccati perché quello che per noi è l’ultimo tassello – magari una grafica da apporre esternamente – è in revisione e approvazione dal cliente finale. In quel tempo noi potremmo in teoria andare avanti a lavorare prevedendo che più avanti vada inserita quella grafica, ma il progettista ci chiede di aspettare. Sono due processi che andrebbero avanti insieme invece che uno in dipendenza del completamento dell’altro, con un guadagno di tempo per tutti.
Per quanto riguarda la logistica abbiamo due modi di intendere il lavoro che devono convivere e spesso non è semplice.
L’agenzia o lo studio di architettura immagina ovviamente il “progetto finito” mentre noi allestitori la prima cosa che facciamo in fase di sopralluogo è controllare le possibilità di trasporto e scarico.
Per estremizzare il concetto: è un progetto che va allestito in centro a Milano in piccole vie o in cima ad una montagna?
Saranno quindi necessari dei piccoli furgoni o degli elicotteri? (Sì, li abbiamo dovuti utilizzare davvero…). Dobbiamo anche prevedere la dimensione del pezzo più grande, perché ogni mezzo ha una capacità dimensionale massima di carico e, oltre la diagonale della bocca del furgone, il pezzo non entra.
Quindi dovremo ingegnerizzare il progetto in modo che sia scomponibile in parti, trasportabile e poi ricomponibile nella sua forma finale in location.
Questi sono temi che non vengono sempre tenuti in conto da chi progetta. Per questo dico che sarebbe utile lavorare fianco a fianco ed avere un linguaggio, una cultura comuni.
4 – Ripercorrendo le varie fasi di sviluppo di un progetto gestito in azienda, quale momento ti emoziona e ti fa capire che quello che fai è il lavoro della tua vita?
Sicuramente il momento della costruzione in cantiere.
Sono progetti che hai visto arrivare mesi prima, li hai visti come bozze, sono stati ingegnerizzati, prodotti, trasportati e mentre li costruisci è come vederli “nascere”. È sempre emozionante: un’idea che prende corpo!
Ti assicuro che nonostante ormai abbia seguito moltissimi cantieri ogni volta che li vedo in costruzione e poi finiti è un’emozione forte. Ti ci affezioni quasi, tanto che quando poi li devi smontare ti piange il cuore.
Ma facciamo allestimenti temporanei, lo smontaggio è parte del nostro lavoro.
5 – Se avessi un super potere quale sarebbe e come lo utilizzeresti sul tuo lavoro?
Mi piacerebbe avere il potere di far capire agli altri il lavoro e le capacità che ci sono dietro ogni produzione. Ci sono diverse fasi del processo produttivo, ognuna delle quali aggiunge valore e coinvolge professioni e persone diverse.
Vorrei che la nostra “professione” venisse maggiormente percepita, sia dai nostri clienti che dal mondo in generale. Capisco che non sia facile perché si vede solo la parte di costruzione in cantiere, spesso neanche quella, quindi ci si può aspettare che basti poco per fare ciò che facciamo.
Chiaramente non è così e quello che cerchiamo di far capire è che ci va di mezzo il risultato finale. Noi siamo in grado di produrre il miglior progetto possibile, il massimo del massimo, ma abbiamo bisogno di rispetto di tempi, processi, artigianalità e professionisti che mettono mano al progetto. Capisco che dietro ci possano essere questioni di ogni genere e non discuto su questo ma, come per un disegno che deve essere prodotto o un vestito che va imbastito, anche l’allestimento ha bisogno di tempi e regole che devono essere rispettate.
A questo punto il super potere potrebbe essere quello di allungare le giornate… ma solo durante i momenti di allestimento, se no sarei sempre a lavoro!
Credits Intervistatore: Sara Fuoco Instagram: @sarafuoco LinkedIn: Sara Fuoco Intervistato: Giorgio Benfenati Instagram: @benfenati_official LinkedIn: Allestimenti Benfenati S.p.a. Illustrazione di: Carlotta Egidi Instagram: @carlottaegidi89