Un caffè con… Alessandro My – Creative Communication

Alessandro My è un freelancer che spazia dalla direzione creativa di eventi, alla creazione di campagne di comunicazione per agenzie e brand internazionali.

In questi anni ha firmato campagne creative per brand come Wolford, National Diamond Council, Alpine e Jared, con pubblicazioni su Vogue US, Times Square e su billboard di tutto il mondo. Ha iniziato la sua carriera nel mondo della Live Music collaborando con Trident, Punk For Business, Live Nation e X Factor Italia per poi gestire la comunicazione di Pulse Films Italia. Ha seguito la comunicazione creativa di personaggi come Vinicio Capossela, Nino Frassica, Diodato. Cura da 4 anni la comunicazione dell’Uno Maggio Taranto.

Cresciuto in Balich Worldwide Shows ha seguito la comunicazione di più di 50 eventi di larga scala in giro per il mondo come Expo Milano 2015, le Olimpiadi di Rio del 2016, la Dubai World Cup e cerimonie nazionali in Kazakistan, Turkmenistan e negli Emirati Arabi Uniti. Successivamente ha collaborato con diverse agenzie come Eco Age, SG Company, Casta Diva Group e Feelrouge Worldiwde Shows, e ha curato progetti speciali per brand come Intimissimi, Ferrari, Huawei e Mazda. 

Il suo desiderio è quello di curare sempre più progetti legati a temi di sostenibilità ambientale e sociale.

Buona lettura e buon caffè!


Non aver mai fatto una cosa, non vuol dire necessariamente non saperla fare

Ale My

1 – Hai iniziato il tuo percorso professionale nella produzione di eventi, hai lavorato come head of digital, hai curato la comunicazione di agenzie e brand e hai lavorato a come creativo a progetti importanti. Ma chi è Alessandro My e cosa ama fare nella sua vita lavorativa?

Alessandro è una persona curiosa e creativa che gravita nel settore degli eventi da ormai 10 anni con ruoli completamente differenti, difficile da etichettare. Sono sicuro che chiedendo a 5 miei amici che lavoro faccia, risponderebbero in 5 modi diversi. Spesso si pensa che chi ricopre tanti ruoli diversi non spicchi in nessuno di questi, io invece amo mettermi alla prova e scoprire tutti i meccanismi dietro a un settore.

Ho un profilo professionale molto fluido, molte delle persone che mi conoscono come manager di comunicazione non hanno idea dei progetti realizzati come direttore creativo, così come chi mi chiama come consulente non sa che ho anche un’agenzia.


2 – Come e quando ti sei avvicinato al mondo comunicazione? Cosa ti ha appassionato fin da subito?

A Milano se sei un ragazzo a cui piace darsi da fare difficilmente non trovi lavoro, già dai primi anni di studio. Io ho iniziato a lavorare nel mondo degli eventi dal 2012 nel periodo in cui i social erano ancora considerati un passatempo da ragazzini ed erano VIETATI all’interno degli uffici di ogni azienda. Questa è stata per me un’opportunità, perché vedendo l’effetto dei social nella vita di tutti i giorni era palese il potenziale aziendale se gestito in maniera furba. Nelle agenzie dove ho iniziato facendo l’account o il producer, non esisteva un reparto comunicazione, così ho avuto la totale libertà di crearli da zero e dare importanza al mondo digital. Certo, ho dovuto sgomitare parecchio perché c’era molto scetticismo verso i social e il ruolo del social media manager non era preso sul serio. È stata come una sfida per me. 

Da lì sono arrivato a gestire dipartimenti di comunicazione e digital, fino a lasciare le agenzie per essere freelancer.


3 – Saper comunicare è fondamentale per un’azienda, per un’agenzia ma anche per la persona stessa. Quali sono le caratteristiche necessarie per avere successo?

Mi annoio facilmente.
Forse è anche questo che mi spinge a cambiare spesso approccio e a non smettere di imparare. La curiosità è alla base di tutto, è ciò che ti porta ad essere creativo e a cambiare continuamente prospettiva, nel lavoro come nella vita. Nelle aziende dovrebbe funzionare allo stesso modo e le agenzie che si mettono in gioco si vedono subito. Non bisogna pensare alla comunicazione come al sito, ai social e all’ufficio stampa, ma anche ai flussi di lavoro, ai processi interni, all’etica lavorativa e ad un’identità chiara. Spesso le agenzie mi chiamano per “la comunicazione” chiedendomi preventivi basati sul nulla, poi mi rendo conto parlando con loro che non hanno chiari i propri obiettivi, non hanno mai definito un’identità e pensano basti fare un’intervista e due post sui social per emergere. 

La comunicazione è uno strumento di business e senza una chiara visione degli obiettivi è impossibile fare un piano di comunicazione. Purtroppo vedo ancora troppi guru del marketing che vendono aria fritta a grandi agenzie facendole abboccare con i numeri sui social. Numeri che però spesso non servono a nulla se non convertiti in risultati.


4 – Sei molto giovane ma hai già collezionato esperienze importanti in Italia e all’estero. Quali differenze hai notato tra il nostro paese e il resto del mondo?

In Italia per avere credibilità come Direttore Creativo devi avere almeno dieci anni di esperienza e decine di progetti alle spalle. Nelle grandi agenzie che ho incrociato è difficile trovarne qualcuno sotto i 35 anni. Poi lavorando all’estero invece incontro registi che vincono Emmy Awards a 19 anni, CFO con meno di 30 anni e progetti importanti che vengono affidati sulla base di un’idea. Fa abbastanza cadere le braccia la differenza di mentalità col nostro paese. C’è ancora troppa struttura gerarchica nelle agenzie in Italia, non c’è da sorprendersi se i grossi brand cominciano ad affidare i loro progetti a nuove micro agenzie di giovanissimi e non alle grandi strutture poco flessibili e troppo care.
All’ultimo Fuorisalone ho realizzato un progetto importante senza coinvolgere agenzie ma solo utilizzando la mia rete di contatti. So per esperienza che lo stesso identico progetto sarebbe costato il doppio al cliente chiamando un’agenzia.

Nel mondo della comunicazione degli eventi, invece, la differenza più grande è quella nel modo di lavorare e del rispetto di questo ruolo: accordi economici soddisfacenti, pagamenti anticipati (mai visti in Italia) e rispetto dei ritmi di lavoro. Qui da noi si è creata questa scusa che “il settore degli eventi è diverso dagli altri e occorre essere disponibili 24/7”, ma è solo incapacità di organizzazione e ansia diffusa. 


5 – Se avessi un super potere, quale sarebbe e come lo utilizzereste nel tuo lavoro?

Forse sarebbe quello di prevedere il futuro, così da evitare le infinite gare che vengono annullate dopo 3 rework, saltare i meeting per progetti che in realtà sono senza budget e per non perdere l’occasione di lavorare agli eventi più memorabili, ai quali senza dubbio vorrei poter contribuire a realizzare eheheh…


Credits
Intervistatore: Sara Fuoco
Instagram: @sarafuoco

Intervistato: Alessandro My
LinkedIn: Alessandro My

Illustrazione di: Carlotta Egidi
Instagram: @carlottaegidi89