Una retrospettiva che analizza lo straordinario contributo teorico e pratico di un “architetto anomalo”. In mostra materiali provenienti da archivi e collezioni di tutto il mondo.
Bisogna ammetterlo: ad un certo punto abbiamo pensato di ritrovarci lillipuziani dentro un plastico di Lego o PlayMobil sul quale avevano riversato anche alberghi e case del Monopoli. E invece stavamo percorrendo le sale di un allestimento davvero magistrale, quello dedicato ad Aldo Rossi: l’architetto e le città, che si chiude questa settimana al Museo Maxxi di Roma.
Il successo planetario di Aldo Rossi – architetto, designer, scrittore, pittore, docente – a 25 anni dalla sua scomparsa rimane per molti un insondabile mistero. Nell’ultimo quarto del secolo scorso ha firmato di tutto: dal cucchiaino Alessi ad intere parti di Berlino. Tra gli addetti ai lavori è tuttora amato e odiato, senza riserve.
L’aggettivo “Rossiano” era considerato nobilitante o infamante a seconda delle contrade culturali che lo utilizzavano, anche all’interno dello stesso Istituto Universitario di Architettura a Venezia dove insegnava. Odiato o amato; ma poco capito anche perché poco spiegato: del resto lui stesso alimentava, con la sua prosa oracolare, l’aura mitologica di un Maestro che tra i colleghi riconosceva solo Palladio, Adolf Loos e Mies van der Rohe al livello della sua olimpica altezza.
Semplici composizioni, solidi elementari, bastavano, o meglio doveva bastare a seguaci, ammiratori e alla nutrita schiera di collaboratori adoranti destinati a tirar su milioni di metri cubi di ferro e cemento, o anche solo una caffettiera, a partire da uno schizzetto a china.
C’è una foto, firmata e datata “Atene 1971”, che lui, anzi “Egli stesso”, scelse per aprire un volumetto di Zanichelli dedicatogli quando era già famoso e che spiega tutto: colonna tra le colonne, mito nel mito, jeans e sguardo/sigaretta alla Clint Eastwood nella Trilogia del Dollaro. Ciò premesso, il maggior merito di questa splendida e davvero imperdibile retrospettiva è proprio quello di aiutarci a rintracciare, grazie all’abbondanza del materiale in mostra, qualche elemento del patrimonio genetico “Rossiano” che giocoforza deve emergere qua e là dal mucchio.
A patto di avere l’occhio per scorgerlo.
Il “Signor Rossi” ha saputo recuperare e rilanciare la tradizione della città; ha disegnato le case a forma di casa e i palazzi a forma di palazzo, disponendo il tutto in maniera ordinata e pulita ai bordi delle strade… né più, né meno, come si dispongono gli alberghi rossi e le casette verdi sugli spazi colorati delle caselle di Parco della Vittoria e Viale dei Giardini.
Si si, proprio quelle del Monopoly.