Riprendiamo da dove ci siamo lasciati: le Cerimonie delle Olimpiadi di Parigi 2024 sotto la lente degli esperti: parlano Marco Boarino, Adriano Martella e Gianlorenzo Mortgat.

Dopo una breve pausa estiva, è tempo di riprendere il filo dei nostri discorsi e concludere il capitolo delle Olimpiadi di Parigi 2024. Proprio in questi giorni, si è svolta la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi, e ne approfittiamo per tornare a parlare degli eventi che hanno segnato l’estate. Abbiamo vissuto insieme momenti indimenticabili durante i giochi olimpici, ma ora è il momento di volgere lo sguardo alle cerimonie che hanno incorniciato l’intera manifestazione: quelle di apertura e di chiusura.

Le cerimonie olimpiche non sono semplici eventi, ma veri e propri spettacoli globali che riflettono l’anima del paese ospitante e catturano l’attenzione del mondo intero. Esse richiedono una pianificazione meticolosa, un’incredibile creatività e una profonda comprensione del simbolismo che le Olimpiadi portano con sé. Per offrirvi un’analisi approfondita e bilanciata, abbiamo deciso di coinvolgere tre professionisti di spicco nel mondo degli eventi, ognuno con una prospettiva unica e qualificata. Abbiamo chiesto loro di recensire e commentare le cerimonie facendo focus su ciò che ha funzionato e su cosa, invece, avrebbe potuto essere migliorato. In attesa di scoprire cosa ci riserveranno le future edizioni, diamo uno sguardo retrospettivo grazie alle loro valutazioni.


Gli esperti

Marco Boarino, Showmaker

Marco è un Direttore Artistico e Regista Internazionale che scrive, crea e dirige spettacoli dal vivo, cerimonie, festival in tutto il mondo dal 2005. Tra le sue ultime, ricordiamo la Cerimonia di Apertura delle Universiadi di Napoli per Balich Wonder Studio, Be Inspired per la Fondazione Milano Cortina 2026 e la Cerimonia di Chiusura di UEFA EURO 2024 all’Olympiastadion di Berlino per Filmmaster.

Cosa mi è piaciuto

Una doverosa premessa. Amo la Francia visceralmente e la frequento con costanza da quasi trent’ anni. Vivo da ventidue anni con una splendida donna francese, con la quale abbiamo due figli dalla doppia nazionalità. Lavoro con agenzie francesi da svariati anni, ho tanti amici e conosco artisti e professionisti dello spettacolo francesi sia a Parigi che in tutta la Francia, molti dei quali erano coinvolti nelle Cerimonie. Ero quindi molto curioso ed eccitato nell’assistere alla prima Cerimonia della storia presentata fuori da uno stadio, nel cuore di una delle città più belle ed iconiche del mondo, ma purtroppo la delusione è stata cocente. Ritengo che le Olimpiadi appena concluse siano state le più belle di sempre, con belli spettacoli di apertura e chiusura ma, ahimè, senza Cerimonie.

Sicuramente aver pensato di fare la Cerimonia di Apertura in città è stato molto coraggioso e l’idea perfetta nella città perfetta. Gli atti in sé erano molto belli se fosse stato uno spettacolo: l’apertura con i daily pyro con bandiera francese e lo schermo ad acqua nella volta del Pont D’Austerlitz non è stato solo un effetto speciale ma un’apertura a sipario meraviglioso, Lady Gaga al Moulin Rouge, Aya Nakamura con la Académie Française benissimo, la rivisitazione alla Conciergerie della decapitazione di Marie Antoinette con la versione metal di ça ira dei Gojira anche, il calderone elettrico sui tetti di Parigi per citare il primo volo nella storia della mongolfiera, bellissimo e innovativo. Solo troppo lento e anche qui, l’azione protagonista dell’accensione è stata depotenziata rispetto alla citazione rivisitata che si voleva mettere in scena. Céline Dion assoluta. Perfetta, intensa, implacabile. Canzone perfetta, Tour Eiffel esplode di laser con grande eleganza. 

Nella Cerimonia di Chiusura ho apprezzato la scena (anche se si poteva spingere molto di più e anche se non avrebbe dovuto rimanere statica creando così più lontananza che coinvolgimento), le musiche e i costumi splendidi, la scelta di un bianco e nero elegantissimo, l’effetto di fumo basso è stato potentissimo (ma non finiva mai). Il costume e la qualità di movimento del Golden Voyageur Arthur Cadre senza fiato, meno il cast di danzatori dove mi aspettavo una scelta coreografica molto più originale e personale invece che così datata con il consueto parkour e urban freestyle con truss e layher: la formazione dei cerchi la si era capita da dieci minuti prima della loro unione in cielo. 

Bella la scelta di iniziare con la giovanissima e talentuosa Zaho De Sagazan, personalmente non ho apprezzato invece affidare l’ultimo viaggio della fiamma olimpica ad uno dei protagonisti indiscussi delle competizioni, il nuotatore francese Léon Marchand, fenomeno certo, ma da un punto di vista valoriale e del racconto, è stata una scelta sciovinista e non universale.

Splendido l’inserimento del piano verticale di Alain Roche impreziosito dal costume a strascico realizzato con i nastri delle VHS. La rinascita finale affidata ad una rappresentanza della musica francese più esterofila è stata coraggiosa e sicuramente attuale ma allora avrei gradito anche i Daft Punk, Ibrahim Maalouf e -M- Mathieu Chedid. E non avevano una collocazione adeguata nello spazio, erano buttati sulla pedana e purtroppo l’effetto vintage/punk dichiarato il day after, in realtà si sa che cosa è successo davvero …

Mi è piaciuto molto il segmento di Flag Handover di LA28.
Concept super a fuoco: Benvenuti a Los Angeles California, la casa della musica, dell’action movie e delle migliori feste sul pianeta, i West Coast Parties!

Si parte con H.E.R. che canta l’inno USA in maniera impeccabile, aggiungendo personalità esecutiva e di arrangiamento ma rispettandolo. Entra Tom Cruise volando e dimentichiamo tutto. Atterra, prende la bandiera e vola a LA citando Top Gun, Mission Impossible, Inception. Atterra a Hollywood presentando l’iconica scritta con i Cinque Cerchi inseriti e che lì resteranno fino al 2028. Sfilata di campioni olimpici americani partendo da Michael Johnson e via con citazione di Forrest Gump, e poi le stelle della musica californiana dal vecchio al nuovo: RHCP + Billie Hilish + Dr. Dre + Snoop Dog, con una resa del suono davvero live e non come l’half playback scaldato di Parigi. E ognuno con una scenografia LA28 personalizzata (logo art LA28 splendido). Chapeau!

Cosa non mi è piaciuto

Credo che Parigi abbia sbagliato proprio l’approccio a tutto tondo sulle Cerimonie.
Invece che ospitare un evento universale che ha protocolli codificati e consuetudini narrative che la città ed il Paese ospitante sono chiamati ad interpretare con la propria cultura e sensibilità, Parigi ha invece trovato nelle Cerimonie un’occasione per provare a mostrare al mondo la propria celeberrima grandeur, in una capriola semantica che – alla fine – le si è ritorta contro. Perchè la Francia di grandeur ne ha tanta, secolare, ma non questa “giovane” fintamente provocatoria, intellettualmente arrogante e che schifa il mainstream. Parigi e la Francia sono molto di più. 

Una Cerimonia Olimpica – e non lo dico io ma De Coubertin – non è uno spettacolo personale, non è una pièce sperimentale in debutto ad Avignon, ma è un evento con un protocollo ben definito e più uno spettacolo. Uno show che negli anni è diventato l’evento televisivo più visto al mondo dopo il Superbowl che deve parlare a tutti e – nel rispetto del protocollo e dei passaggi istituzionali – lanciare grandi messaggi universali, dove lo Sport (non lo spettacolo, lo Sport) diventi veicolo di messaggi sociali oggi più che mai urgenti, come la Pace, l’Inclusione, i Diritti Civili. 

Le Cerimonie parigine, soprattutto quella di Apertura, sono passate invece sopra all’evento che dovevano raccontare, utilizzandolo in maniera strumentale per mostrare altro e – alla fine – tirando fuori il suo stereotipo peggiore, quello di credersi un popolo superiore agli altri. Non servivano sovrastrutture drammaturgiche, il Concept bastava da solo: la prima Cerimonia Olimpica in città, non in uno stadio, anzi nella città museo più bella del mondo. Bastava essere colti, garbati, popolari ed ispirati proprio come sono i Francesi e invece…

Ora, una Olimpiade è prima di tutto un evento sportivo e la Cerimonia ha tre componenti fondamentali:
– sportiva: si celebrano le atlete e gli atleti, super eroi che compiono sacrifici quotidiani da quando sono bambini per arrivare fin qui. Non sono una comparsa, un accessorio, sono i protagonisti. Nella Cerimonia di Apertura li hanno stipati sulle bateaux mouches senza un minimo di decoro, con impermeabilini da concerto a causa della pioggia, non sapevano dove guardare, erano troppo lontani dal pubblico: è sicuramente mancato l’abbraccio dello stadio che, quando viene annunciato il nome del tuo Paese, ti fa tremare la pancia. Alla squadra dei Rifugiati, neanche un accenno in questi tempi di guerra, una grande occasione persa. Nella Cerimonia di Chiusura gli Atleti erano una unica parata confusa senza respiro, con luci inadeguate alle riprese televisive (spesso impallate dalle tecniche audio e luci). In entrambe senza cartelli e porta-cartelli e senza dare il necessario peso al portabandiera che ha un valore fondamentale. 
– istituzionale (inno, bandiere, ingresso del Capo dello Stato, discorsi istituzionali). Alla base, questa è la Cerimonia (De Coubertin, non Boarino) lo show viene dopo. In Apertura Mattarella a 83 anni sotto la pioggia anche lui con l’impermeabilino di plastica, mi spiace ma non si può vedere. E non era l’unico, delegazioni intere ad aspettare scoperte per ore sotto la pioggia. Oltretutto con Macron e le alte cariche del CIO tutti al riparo. La bandiera olimpica issata al contrario è imperdonabile, come chiamare la Corea del Nord con Corea del Sud resta uno scivolone diplomatico decisamente grave. In Chiusura, tutti i discorsi istituzionali senza un adeguato contesto scenico, “buttati” sulla pedana a forma di mondo.
– culturale: In entrambe le Cerimonie è mancata la parte autoriale (assente in Apertura, fuori luogo in Chiusura), la supervisione dei contenuti culturali, l’attenzione verso Paesi e culture che non hanno le libertà dell’Occidente.

Il compito dei moduli artistici nelle Cerimonie è quello di esaltare le specificità culturali del Paese ospitante, raccontare gli alti valori sportivi e portare l’attenzione su temi universali. Il Comitato Olimpico Paris 2024 ha dichiarato più volte di aver voluto rottamare il vecchio e presentare una Francia fresca, inclusiva, che (a differenza di tutti) ha più diritti di tutti, specialmente quelli civili. In una intervista il Direttore Artistico ha dichiarato: “noi in Francia abbiamo il diritto di amare chi vogliamo, di esprimerci come vogliamo … abbiamo un sacco, un sacco di diritti”. Applauso. E voi no, tiè. E le migliaia di donne vittime di violenze e il conflitto russo-ucraino e le decine di migliaia di palestinesi ammazzati, e tutte le minoranze etniche del mondo? Tutti Paesi che partecipano alle Olimpiadi.

Bene, benissimo, necessario celebrare i diritti civili ma soprattutto di quali diritti civili stiamo parlando? Mi sembra molto facile e furbo dire “viva i gay, drag, queer, viva tutto, viva l’inclusione, vivaviva.” Cioè è l’affermazione della diversità sessuale il più alto sinonimo di libertà? Inclusione uguale parità di genere? In una cerimonia olimpica universale? È questo il messaggio rivoluzionario della contemporaneità olimpica parigina? È strano da spiegare ma a me ha dato quasi una sensazione di misoginia la Cerimonia di Apertura. 

Un discorso è portare sotto ai riflettori la tematica di quella parte dei diritti civili di mix-sexuality e new-identity, un altro è costruirci sopra praticamente una intera Cerimonia. L’ultima Cena aka Il Baccanale. Anche qui, se il Comitato Olimpico congiuntamente a Paris 2024 hanno dovuto, il giorno dopo, scusarsi con tutti dichiarando che non era loro intenzione offendere nessuno, se il Direttore Artistico ha ricordato che la volontà era quella di mettere in scena il Baccanale rivisitato e non l’Ultima Cena ma il mondo intero ha letto istantaneamente la seconda, chi ha ragione? L’intenzione dei creatori e produttori o la lettura di miliardi di telespettatori nel mondo?

Qui mi piace riportare una bellissima chiacchierata con i miei amici e colleghi Davide Tappero Merlo e Chris Myhre. Una rivisitazione contemporanea di gay e drag ci è sembrata la classica “o’ famo strano”. Tutti e tre non siamo cattolici ma l’abbiamo trovata irrispettosa non solo per i cattolici bensì per tutti i credenti, perchè le Olimpiadi sono prima di tutto a statuto a-politico e a-religioso, e ai Giochi partecipano tutte le razze e tutte le religioni. E perchè allora bisogna fare una critica maldestra? Cosa stiamo dicendo? “Il cristianesimo è oppressione dei diritti omosessuali e quindi noi ci mettiamo la mix-sexuality”. Perché ad una Olimpiade universale, bisogna attaccare il Cristianesimo? Fino a prova contraria in Occidente (non solo in Francia) non c’è una teocrazia e possiamo tranquillamente dire che i diritti dei gay (con i dovuti distinguo) sono garantiti. Vuoi provocare davvero? Critica le teocrazie mediorentali invece che fare un gay pride sulla Senna, prenditela con Putin, con Netanyahu o con un Ayatollah qualsiasi. Il risultato a mio avviso è stato l’opposto e ho trovato soprattutto la figura ed il ruolo della donna estremamente sacrificato e a tratti strumentalizzato, a favore di una fluidità di genere esasperata, legittima e necessaria sicuramente ma nel complessivo sbilanciata nel contesto generale che – ricordiamolo – è una Cerimonia Olimpica non uno spettacolo personale, dove questa delicatissima tematica va certamente raccontata ma nel rispetto di tutte le sensibilità culturali del mondo.

Se nella Cerimonia di Apertura è mancata totalmente la narrazione e un ampio sguardo culturale, in quella di Chiusura c’è stata una sovra-narrazione: ma perché dobbiamo calarci in un futuro distopico nel quale un viaggiatore dorato atterra in un mondo senza Giochi e grazie all’incontro con la Venere di Milo (ovviamente conservata al Louvre) e alla forza dell’ unione umana, i Giochi risorgono e salgono in cielo? Perché bisogna usare una Cerimonia Olimpica per raccontare una propria visione personale invece che fare esattamente l’opposto? Sarebbe stato un bellissimo spettacolo su questo tema, uno show permanente a Olimpia, uno spettacolo da tour per raccontare i valori olimpici, l’apertura della Biennale di Venezia (o Parigi) dedicata alle Olimpiadi, ma non una Cerimonia di Chiusura oltretutto.

Quasi mai in entrambe le Cerimonie ho provato emozioni. 
Vorrei concludere questa parte con una riflessione sull’aspetto più professionale. Entrambe le Cerimonie mi sono sembrate dei mostri senza testa.

Il direttore artistico è un bravo e talentuoso coreografo, ma non è un regista e si è sentito. Trovo sia stato estremamente arrogante e presuntuoso nell’approccio. Conosco bene almeno tre registi francesi incredibili e titolati che avrebbero meritato ampiamente di scrivere e dirigere le Cerimonie, ma non avevano trent’anni anni e non erano cool. Ha trascurato troppi aspetti (la parte protocollare, la centralità degli atleti, la narrazione, le riprese televisive, la gestione della pioggia). Ma il problema vero a mio avviso è ancora più a monte, ovvero nel Comitato e nella sua incapacità di avere un pool di professionisti adatti all’Evento in termini dirigenziali, soprattutto sull’aspetto manageriale e produttivo. Sembra che non ci sia stato nessuno a direi dei no su alcune scelte artistiche, a studiare e prevedere un piano di riprese televisive all’altezza (la regia video è stata assolutamente deficitaria e inadeguata), a prevedere reali piani B,C,Z in caso di pioggia (in una città in cui piove spesso oltretutto). 

Spesso i Comitati fanno gare per agenzie creative e chi fa il progetto più bello vince e produce, quindi le teste artistiche sono specifiche e dentro le agenzie e sono gestite dalle agenzie stesse. Parigi invece ha detto “No, scegliamo noi le teste pensanti e le agenzie producono (cioè eseguono) quello che vogliamo”. Bene, ma devi avere le competenze per scegliere chi incaricare e il team per sostenere questo pensiero, sennò rimani chiuso nella tua arroganza intellettuale. Riguardate le Cerimonie di Londra di ben dodici anni fa: lì il Comitato ha fatto una scelta analoga a Parigi nominando il direttore artistico direttamente e facendo una gara analoga. Ma hanno scelto … Danny Boyle (regista cinematografico e teatrale per un prodotto prettamente televisivo, non di danza e teatro), e gli hanno messo attorno i migliori professionisti inglesi ed internazionali (non prevalentemente quasi esclusivamente parigini). Atene nel 2004 è stato indimenticabile: Dimitris Papaioannou (coreografo e regista) aveva sì trent’anni ma chi l’ha scelto sapeva esattamente cosa stava facendo, e i vent’anni successivi l’hanno dimostrato. Il problema non è anagrafico ma di consapevolezza e capacità nella scelta.

Durante la Cerimonia di Apertura avevo spesso l’impressione di essere a Eurovision più che ad una Cerimonia Olimpica: bei quadri, pensati ed eseguiti benissimo, ma ancora una volta non era una Cerimonia Olimpica. Tempi e buchi infiniti, senza ritmo: sicuramente non era facile ma di meglio si poteva fare certamente.

Un altro degli aspetti che mi ha sorpreso (e innervosito) è stata la tremenda resa televisiva, e non solo dal punto di vista di ripresa video ma anche dal commento “giornalistico” (ho provato tre emittenti di altrettanti Paesi diversi). È oramai una piaga, per me resta inspiegabile contando che il 90% del valore della Cerimonia è nel broadcasting, i commentatori sembravano impreparati e i commenti erano pieni di errori, spesso fuori tempo. Ma come è possibile che un prodotto televisivo di questo livello non possa avere una narrazione di accompagnamento adeguata e preparata? Probabilmente la risposta è nei contratti televisivi. E poi le telecamere sempre con la patina di gocce di pioggia … come la qualità delle produzioni video davvero low profile: Zidane, i Minions sulla Senna, il tedoforo-icona.

Riguardate anche su questo Londra… ed erano dodici anni fa, o anche Atene ed erano vent’anni fa.

Cosa avrei fatto diversamente

Sicuramente avrei rispettato di più l’identità del format olimpico tra centralità degli atleti, risalto istituzionale e coerenza culturale.
Se avessi avuto il privilegio di dirigere le Cerimonie, mi sarebbe piaciuto (anzi avrei avuto bisogno) di essere guidato da un Team di Produzione e Management esperto in materia, che mi avesse detto tanti NO per tenermi sui binari giusti e permettermi di imparare.

Uno degli spunti più interessanti è il confrontarsi su come la contemporaneità debba riuscire a trovare codici e linguaggi che parlino alle gen zeta e alpha e non solo a noi boomers e oltre. Inseriamo il surf e la breakdance, un po’ di codici freak, un po’ di attualità per i giovani fluidi, poi però vogliamo performance più confortanti.

Ne abbiamo discusso tanto con altri amici e colleghi come Lorenzo Zambo Zambelli e Fabio Cillo Legnani. Vorremmo aprire ai giovani ma ci spaventa perdere il controllo. Bisogna riconoscere che le Cerimonie, molto criticabili da tanti punti di vista, hanno però provato a sperimentare codici comunicativi diversi dallo standard. Diversi da noi, dagli over 40 over 50 che alla fine sono i target delle Olimpiadi. E nel bene o nel male siamo ancora qui a parlarne. Vogliamo i giovani come Billie Ellish, che ha più Grammy che anni di vita, ma poi vogliamo anche i Red Hot e dobbiamo chiederci se questo è parlare a tutti o a noi stessi in realtà. Se si vuole aprire bisogna ascoltare, rischiare, fare compromessi, anche sbagliare. Magari con meno patriottismo e arroganza culturale. Credo che il punto sia sempre lo stesso, quello di trovare la connessione tra i poli, più che volerne portare solo uno sul podio.

Viva le Olimpiadi!


Adriano Martella, Head of creative

Premiato come Direttore Creativo dell’anno 2021 al BEAit, coordina le attività creative in Filmmaster. Ha ideato e realizzato grandi eventi in America, Asia ed Europa, tra cui la recente Closing Ceremony di UEFA EURO 2024, il quarto campionato Europeo consecutivo su cui ha lavorato.

Cosa mi è piaciuto

Della Opening Ceremony ho ammirato il coraggio, la scelta di raccontare la propria identità fuori dai canoni delle aspettative altrui. E ancora la mescolanza di linguaggi tra performativo puro, storytelling video e contemplazione celebrativa di una città sempre splendida, anche con la pioggia battente. L’utilizzo molto incisivo dell’effettistica, ad esempio dei fuochi diurni. Ho apprezzato lo stile contemporaneo di scene come il martirio di Maria Antonietta e l’interazione con la Tour Eiffel durante l’ultima parte della cerimonia, davvero potente. In generale il fatto che lo show non si sia semplicemente svolto lungo il tracciato della parata, ma che abbia giocato in modo creativo con lo skyline di Parigi, anche se poi questa scelta ha causato problemi nella gestione delle tempistiche. Della Closing Ceremony salverei invece poche inquadrature, forse solo il momento della salita del quinto cerchio Olimpico, sollevato dalle braccia tese del cast che si stagliano contro la foschia della scena.

Cosa non mi è piaciuto

Si è parlato molto delle tempistiche sbagliate che hanno reso l’Opening Ceremony difficile da digerire come spettacolo televisivo. Dato poi il carattere itinerante del format, non credo che gli spettatori live, tranne alcuni di quelli seduti sugli spalti alle Tuileries e muniti di un ottimo impermeabile, potessero aspettarsi qualcosa di diverso di quello che hanno vissuto, per molti sicuramente deludente: la loro partecipazione è stata immaginata più per trasformarli in figuranti di una grande scena collettiva che per compiacere i loro occhi. Trovo anche corretta la critica rivolta contro la scarsa attenzione nei confronti dello sport in sé, degli atleti e dello Spirito Olimpico che incarnano. Per la Closing Ceremony, che non ha avuto un vero inizio creativo o uno storytelling coinvolgente, mi è dispiaciuto che abbiano puntato tutto sulla visione distopica di un unico segmento artistico dall’esito a mio avviso discutibile, messo in scena dopo una sequenza di protocollo per nulla elettrizzante. Un altro grande errore per me è stato il modo in cui è stato disegnato e utilizzato il palco: dispersivo e poco efficace nel creare una relazione empatica con atleti e pubblico. 

Cosa avrei fatto diversamente

Sono tornato da Parigi galvanizzato, dopo aver assistito alla Opening Ceremony delle Paralimpiadi, con un pensiero in testa: a differenza delle Cerimonie Olimpiche, questa è riuscita a rendere l’umanità di nuovo protagonista del racconto. Al posto di Jolly, avrei tratto ispirazione fino in fondo da questo principio anche nell’ideare gli show precedenti, mettendo al centro un messaggio universale che, attraverso un umanesimo rinnovato, potesse trasmettere la speranza di cui il mondo oggi ha bisogno. Pensando ai Giochi come occasione di riscatto, anche alternando toni più seri con la leggerezza. E raccontando le storie straordinarie di persone vere, che nelle Olimpiadi trovano lo spazio giusto per ispirarci e farci sognare ancora.


Gianlorenzo Mortgat, Live Show Director and Artistic Director

Regista e Direttore Artistico, Gianlorenzo realizza eventi Corporate, Fashion Show, Lanci di Prodotto, Cerimonie Sportive; in Italia e all’estero – con particolare predilezione per il mercato del Middle East. Fare il regista, per lui, è questo: l’arte di vedere le idee, e metterle in scena in modo da generare nello spettatore l’empatia necessaria a rendere ogni evento memorabile.

Cosa mi è piaciuto

Partiamo dicendo che la cerimonia di apertura e quella di chiusura sono come struttura creativa e registica molto diverse tra loro. Questo per me è un plus non perché non ci sia un unico fil rouge ma perché è come sentire il lato A e il lato B di un vinile, stesso artista ma diverse armonie. Partiamo con quello che mi è piaciuto: coinvolgere l’intera città di Parigi facendone vedere la sua magnificenza è stata una grande trovata spot, correre tra i tetti di Parigi seguendo il tedoforo fantasma, un perfetto mezzo.

Alcuni quadri o atti sono stati particolarmente drammatici e teatrali, mi schiero con il Si, in particolare con l’atto della decapitazione di Marie-Antoinette, scenicamente dal mio punto di vista espresso egregiamente e il momento della Guardia Repubblicana costretta a ballare sulle note di Aya Nakamura. Proprio questo violento e quasi imbarazzante momento lo salvo, attenzione, non sono per il va bene tutto pur che sia disruptive ma ho trovato questi due momenti così spinti al ridicolo che li ho fortemente apprezzati.

Ho apprezzato molto il momento di Celine Dion, toccante e dritto verso il cuore della gente. Merci Celine! Il cavallo che galoppa sulla Senna bello ma infinitamente lungo (ne parleremo dopo). L’immagine con le leggende che si passano la fiaccola fino a portarla al braciere la trovo vincente proprio perché ricorda la storia di ogni personaggio che ha scritto un pezzo importante della storia sportiva, era assolutamente doveroso.
Salvo le luci magistrali sulla Torre Eiffel!

Cosa non mi è piaciuto

Passiamo alle note dolenti, quando ho iniziato a dirvi che questa cerimonia è stata un grande trovata spot per Parigi, questa per me è anche una grossa nota dolente, diciamo il rovescio della medaglia. Mi sono chiesto dove fosse lo sport in tutto questo: ricordiamoci che non si tratta di un’Expo, bensì di un evento che celebra anche gli atleti e i valori dello sport.

Drammatica e imbarazzante il momento della sfilata in passerella dedicata al festeggiamento dei giovani emergenti francesi, la passerella vuota, senza coreografia e luci. L’ho trovata una scena veramente agghiacciante, se doveva essere il momento dell’inclusività è stato un momento assolutamente trash: Spero che nessuno me ne vorrà male ma è stato come assistere ad un Gay Pride riuscito male.

Passiamo alla cerimonia di chiusura, come dicevo molto interessante, pulita e dritta. L’immagine di tutti gli atleti riuniti allo stadio è stata finalmente emozionante… ci voleva prima o poi.

Mi dedicherò al Flag Handover con Tom Cruise che al suo solito si getta dalla cima dello Stade  de France.
Americanata? Funziona benissimo, Los Angeles ha fatto vedere subito i muscoli e gli eccellenti cantanti come Billie Eilish.
Non mi ha convinto invece il ritmo della Cerimonia.

Tempi drammaticamente immensi come ad esempio l’arrivo del Golden  Voyager, ispirato al disco d’oro inviato nello spazio dalla NASA nel 1977.
Potevo alzarmi dal mio divano, andare in cucina, aprire un buon bicchiere di Donnafugata e tornare comodamente a sedermi che avrei ritrovato lo stesso personaggio ancora lì, sospeso. Noi che facciamo eventi lo sappiamo bene, i tempi e il ritmo sono tutto per uno show di successo, probabilmente in quel momento l’orologio di Parigi si muoveva al rallentatore proprio come nello spazio.

Cosa avrei fatto diversamente

Avrei cercato di spingere gli atti tenendo al centro dell’attenzione lo sport, usandolo come mezzo per scoprire la Francia e la meravigliosa Parigi. Mi spiego meglio, gli atti mi sembravano volutamente tutti separati, staccati tra loro, avrei cercato un elemento comune che fosse il trait d’union  – probabilmente sportivo – dei vari atti narrando l’unicità di parigina attraverso delle metafore sportive e non usando il rapper fantasma mascherato Snoop Doog.

Per quanto riguarda la Cerimonia di Chiusura invece, come sappiamo, è più istituzionale e non toccando naturalmente il protocollo, avrei cambiato la forma del palco che voleva rappresentare i cinque continenti che personalmente non mi è arrivata subito. L’ho trovata troppo fredda, forse avrei cercato di farla in corten, materiale a me caro e dal colore che mi riporta immediatamente al colore marrone della nostra Madre Terra, ma questa rimane una mia umile opinione.


Le opinioni raccolte nelle tre interviste evidenziano un quadro complesso e articolato delle Cerimonie di Parigi 2024. Mentre qualcuno ha apprezzato l’audacia e la volontà di innovare, qualcuno ha sottolineato i limiti di un approccio che ha messo in secondo piano l’essenza stessa dei Giochi Olimpici: la celebrazione dello sport e dei suoi valori universali. Guardando al futuro, è fondamentale che gli organizzatori delle prossime edizioni riflettano su questi aspetti, bilanciando l’espressione culturale con il rispetto delle tradizioni olimpiche. Il successo delle cerimonie future dipenderà dalla capacità di offrire uno spettacolo che, pur innovativo, rimanga fedele alla missione dei Giochi: unire il mondo attraverso lo sport, trasmettendo messaggi di pace, inclusione e solidarietà. L’auspicio è che le prossime edizioni possano imparare dagli errori e dai successi di Parigi, creando eventi che siano allo stesso tempo spettacolari e rispettosi dei valori olimpici, per ispirare le generazioni a venire.


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