Il sistema gare. Di cosa ha davvero bisogno il settore eventi? Cultura, valore e trasparenza.

Oggi vogliamo affrontare un tema che riguarda tutti nel nostro settore: le gare e il modo in cui vengono gestite. Se ne parla spesso, ma ci si ferma raramente a riflettere sull’impatto reale che hanno su chi le vive ogni giorno, sulle persone, sulle strutture interne delle agenzie, sui fornitori e su cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione.

Nel mondo degli eventi, la parola “gara” è diventata quasi inevitabile. Un passaggio obbligato che promette equità, ma che troppo spesso si traduce in inefficienza, stress e perdita di valore. Le gare dovevano garantire trasparenza e meritocrazia. A volte, invece, rappresentano una contraddizione: uno strumento nato per selezionare il meglio, che finisce per consumare energie, motivazione e sostenibilità.

E allora la domanda è inevitabile: di cosa abbiamo davvero bisogno per far funzionare questo sistema?

Per  cercare di fare chiarezza e dare qualche risposta abbiamo coinvolto quattro professionisti stimati e conosciuti nel settore, con due punti di vista complementari: quello delle agenzie e quello dei fornitori. L’obiettivo è aprire un dialogo costruttivo, condividere esperienze, riflessioni e, perché no, qualche buona pratica da portare avanti. Abbiamo parlato di come le gare vengono vissute oggi, dei loro costi economici ed emotivi, dell’impatto sulle strutture interne e di possibili soluzioni per renderle più trasparenti, sostenibili e utili per tutti.

Gli intervistati sono: 

Elisa Presutti – Managing Director Events Gattinoni Group 
Mario Viscardi – Partner & Creative Director Piano B
Alberto Azzola – Managing Director & Partner STS Communication
Giorgio Benfenati – Dirigente presso Allestimenti Benfenati S.p.A.


Partiamo dalle agenzie con Elisa, che ci racconta come le gare vengono vissute dall’interno. La gestione delle gare rappresenta una delle sfide più delicate e impegnative: non si tratta solo di competere per aggiudicarsi un progetto, ma di farlo in un contesto in cui ogni scelta, ogni investimento di tempo e risorse ha un peso concreto. In un settore in cui ogni progetto richiede settimane di lavoro, idee, concept e investimenti, il rapporto tra impegno e ritorno è semplicemente insostenibile se si considera che vincere una gara su tre è già considerato un risultato “sano”.

In media ci sono quattro agenzie per gara: un numero che dovrebbe segnare un confine. Oltre quella soglia, la gara smette di essere selettiva e diventa dispersiva. Molte agenzie, infatti, hanno deciso di non partecipare più a brief con troppi concorrenti: un piccolo/grande gesto di rispetto per il proprio lavoro. Ma il lato economico è solo una parte della sfida. Ci sono infatti i costi diretti, legati al lavoro dei team, alle ore extra, ai materiali e alle risorse investite, ma anche quelli indiretti, come l’impatto sulla pianificazione interna e sulla gestione dello stress dei collaboratori. Continui rework e la necessità di adattarsi a richieste sempre più specifiche generano spesso frustrazione e un senso di impotenza, soprattutto quando l’impegno non viene riconosciuto.

Nonostante questo scenario, ci sono anche esperienze positive. Molti clienti conducono le gare con trasparenza e rispetto, e le collaborazioni che nascono in questi contesti rendono il lavoro quotidiano stimolante e gratificante. Elisa evidenzia come la chiave stia nel riconoscere il valore della progettazione, mostrando concretamente quanto lavoro viene dedicato a ogni proposta, anche quando non viene selezionata.


Il “teorema delle gare”: perché i conti non tornano

Mario aggiunge una prospettiva più quantitativa, portando dati e numeri che aiutano a comprendere la portata del fenomeno. Facciamo un rapido calcolo. In una gara con quattro partecipanti, una vince e tre perdono. Ma l’agenzia vincitrice, con il budget di un solo progetto, deve coprire anche i costi delle tre gare non vinte. Il risultato? I costi “nascosti” del lavoro non riconosciuto vengono inevitabilmente caricati sull’unico progetto che genera fatturato.

Un meccanismo che crea opacità, squilibrio e una competizione falsata, in cui il prezzo diventa il parametro principale. Il valore, la creatività e il tempo delle persone, invece, restano invisibili.

Anche Mario sottolinea come i costi legati alle gare siano molto concreti. Non si tratta solo di ore di lavoro, ma anche di test, demo e sopralluoghi, spesso necessari per garantire che la proposta sia realistica e coerente con le esigenze del cliente. Ogni progetto richiede un investimento in termini di risorse umane e materiali, che rischia di rimanere “invisibile” se non viene riconosciuto. Mario evidenzia anche aspetti positivi riscontrati come la chiarezza e la correttezza di alcuni clienti, che riconoscono l’impegno delle agenzie e mettono in conto il rimborso per le gare. Queste esperienze mostrano come sia possibile gestire le gare con rispetto reciproco, valorizzando il lavoro creativo e tecnico senza generare frustrazione inutile.


Quando il prezzo lo paga l’intera filiera

Il costo di questa dinamica non si ferma alle agenzie. Scende a cascata lungo tutta la filiera: fornitori, tecnici, allestitori, studi di progettazione.

Passando al lato fornitori, Alberto e Giorgio portano il punto di vista di chi partecipa alle gare come partner esterni. Le loro testimonianze confermano alcune criticità già emerse dal lato agenzia, ma aggiungono sfumature importanti. Alberto racconta come, per i fornitori, le gare comportino spesso investimenti rilevanti di tempo e risorse, con l’incertezza di ricevere un incarico effettivo. La gestione del rework, le richieste di modifiche e le attese prolungate possono avere un impatto significativo sull’organizzazione interna delle aziende.

Ore di lavoro, render, ingegnerizzazioni, sopralluoghi: tutto offerto in fase di gara senza alcuna certezza di rimborso. Il paradosso è evidente: un settore che vive di progettualità e valore intellettuale, ma che spesso non riconosce a sé stesso il diritto di essere pagato per pensare.

Giorgio aggiunge però che, anche in questo caso, non tutte le esperienze sono negative. Esistono collaborazioni virtuose, in cui la trasparenza e il rispetto reciproco tra agenzia e fornitore consentono di gestire le gare in modo sostenibile. L’importante, sottolinea, è stabilire fin da subito regole chiare e comunicare apertamente il valore delle risorse impiegate, rendendo evidente l’investimento economico ed emotivo che ogni progetto comporta.


Il costo invisibile: la motivazione

E poi c’è il lato più silenzioso, ma forse il più “rumoroso”: il costo umano. Chi lavora in agenzia lo sa: scadenze impossibili, notti in bianco, e-mail di rifiuto dopo settimane di lavoro intenso. La perdita ripetuta di gare logora la motivazione dei team, soprattutto dei più giovani.

C’è frustrazione, senso di impotenza, e quella sensazione amara di non veder valorizzate le proprie idee.  Non è solo una questione di budget, ma di rispetto e cultura del lavoro. Un settore che vuole attrarre talenti e valorizzare la creatività deve saper proteggere chi la genera.


Cosa possiamo fare? Valore e Trasparenza

Tutti i professionisti concordano su un punto cruciale: le gare, se gestite in modo corretto, possono diventare strumenti utili di crescita, confronto e innovazione. Il problema non è il concetto di gara in sé, ma la mancanza di trasparenza e di riconoscimento del lavoro svolto. Valorizzare il lavoro di progettazione, chiarire le regole fin dall’inizio e considerare il rimborso dei costi sostenuti sono passi fondamentali per rendere le gare più eque e sostenibili, sia per le agenzie sia per i fornitori. Qualcosa infatti si sta muovendo. Molte agenzie hanno introdotto policy interne: non più di cinque concorrenti, tempi realistici, chiarezza sul processo. Altre chiedono un piccolo gettone di partecipazione, un rimborso simbolico per la fase di progettazione. 


Fare cultura è un atto di responsabilità

Fare cultura, in fondo, significa questo: non pensare solo a oggi, ma a ciò che resterà domani. A cosa lasceremo in eredità a chi verrà dopo di noi — a quella generazione Z che guarda il mondo del lavoro con occhi diversi, più attenti all’etica, al senso, alla qualità della vita. Che cosa impareranno da noi, se continueremo a normalizzare un sistema che consuma energie, persone e passioni? Che messaggio stiamo passando, se accettiamo che il talento, la dedizione e le ore di lavoro non abbiano un valore riconosciuto?

Non possiamo permettere che tutto questo venga percepito come inutile. Perché dietro ogni gara ci sono idee, notti insonni, confronti, e una parte di futuro che proviamo a costruire ogni volta. E allora sì, fare cultura significa anche difendere il senso del nostro mestiere, ricordare a noi stessi e a chi verrà dopo che il nostro lavoro non è solo “fare eventi”, ma creare valore, emozione e memoria. Solo così potremo lasciare qualcosa che resti: un settore più consapevole, più giusto e più umano.


Credits

> Intervistatrici

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