Un caffè con… Umberto Cigognini – Direttore creativo

Umberto è il Direttore Creativo di Triumph Group a Milano, con vent’anni di esperienza in pubblicità, branding, marketing esperienziale e retail. Ha guidato progetti innovativi in agenzie come Accenture Song, SG Company, The Integer Group, Momentum Worldwide e PianoB, lavorando per brand come Campari, Vodafone, Google e Sony. Specializzato in experiential e comunicazione corporate, si distingue per un approccio creativo contemporaneo e nella gestione di team diversificati, creando esperienze di brand di grande impatto. 

Preparate un buonissimo caffè e buona lettura del martedì!


Non correre con le forbici in mano

1 – Come hai iniziato il tuo percorso nel mondo della comunicazione e degli eventi? Quali sono stati i momenti chiave che ti hanno portato a scoprire la tua passione per questo settore?

La mia prima comparsa nel mondo della comunicazione è come account in Black Pencil di Leo Burnett, un ruolo capitato un po’ per caso grazie ad una chiacchierata con Alessio Fronzoni. Era il 2001, quando le grandi agenzie vivevano la coda del boom pubblicitario degli anni 80 e solo varcando la porta ti sentivi già parte di qualcosa. In Leo Burnett la signora Rita preparava la colazione per tutti; Franco Moretti passava tra i corridoi salutando e rispondendo ai timidi “come va” con “un trionfo”; colleghi quasi tutti adorabili (e che oggi sono grandi nomi); e, il primo giorno, sulla scrivania un cesto da picnic che includeva: mele, le regole della casa e vari gadget per darti il benvenuto tra i “Burnetters”. Insomma, cose che oggi non vediamo quasi più. 

Ho continuato poi a fare esperienza in varie agenzie, passi necessari per comprendere che il ruolo da account mi stava stretto. Sentivo bruciare dentro la voglia di dire la mia. Ho iniziato a propormi a molte agenzie come grafico ma è stato solo grazie ad Antonio Vignali che mi ha introdotto a Mario Viscardi di Piano B, che ho potuto iniziare a vivere il mondo che davvero mi interessava: quello del pensiero creativo. Mario, con il suo istinto unico, mi ha dato una possibilità. Quella possibilità unita a dedizione, a molte notti insonni, all’influenza di straordinari direttori creativi e ai processi imparati nei grandi network, oggi, è diventata il mio lavoro e la mia passione. Anzi forse la mia passione lo era già. 


2 – Nel corso della tua carriera hai lavorato in diverse agenzie e ruoli, dalla pubblicità agli eventi. Quali insegnamenti importanti hai tratto da ogni esperienza e come ti hanno aiutato a sviluppare un approccio completo nella tua professione?

Quando parlo della mia esperienza agli studenti in università – attività che considero un boost di energia per il mio lavoro – dico sempre: Ho lavorato in piccole agenzie dove ho imparato l’istinto e il dover fare di necessità virtù ma anche in realtà imponenti che mi hanno insegnato processi, metodo e che hanno contribuito a indurire un po’ la scorza. Ogni avventura mi ha formato: dal saper presentare in modo efficace, all’avere un pensiero organizzato e schematico; dall’osare e incalzare senza mai mollare un centimetro, a capire che ci sono battaglie che meritano di essere combattute e altre dove è sufficiente fare bene quello che ti viene chiesto. Ciò che hanno in comune tutte le esperienze eterogenee che ho fatto è avermi fatto capire che con i clienti o tra l’audience con la quale stai cercando di interagire, di fronte hai sempre esseri umani con le loro complessità, difficoltà, problemi o peculiarità. Saperle comprendere e sapersi comprendere è la chiave per tutto.


3 – C’è un progetto particolare che hai nel cuore e che rappresenta il tuo stile e la tua creatività? Raccontaci il progetto e il significato che ha per te.

La mia posizione mi impone di rispondere che tutti i progetti creativi che seguo mi entrano nel cuore ed esprimono il mio stile e il mio approccio creativo. Ma provando ad andare oltre alle formalità, il progetto che mi ha emozionato maggiormente risale al 2012. Lavoravo in Integer\TBWA e Sony Xperia ci chiese una campagna di lancio per un nuovo telefono cellulare che racchiudeva la miglior tecnologia delle fotocamere compatte Sony. Erano i primissimi periodi in cui i cellulari erano uno strumento embrionale capace di immortalare con qualità i momenti di vita che vivevamo. Con il mio copy di allora, Francesco Napoleone, abbiamo avuto l’intuizione che per non essere un lancio autoreferenziale, la persona perfetta per darci competenza e credibilità avrebbe dovuto essere un fotografo professionista, abituato a scattare momenti di vita in giro per il mondo. Due nomi ci sono venuti subito in mente, entrambi impossibili sulla carta. Come spesso accadeva, abbiamo deciso di puntare sul più inarrivabile dei due: Steve McCurry. Prevedibilmente, ci dissero che quest’idea non era fattibile: difficilmente avrebbe fatto progetti con i brand; il budget sicuramente era troppo basso; il cliente non l’avrebbe mai approvato e, comunque, non saremmo riusciti a pensare e produrre in meno di tre mesi una campagna integrata con un evento fortemente notiziabile; da New York era impossibile farlo spostare. E invece, un pranzo improvvisato a St. Moritz durante una sua mostra e la determinazione di moltissime persone dell’agenzia, hanno reso tutto quello che dicavano impossibile, non solo possibile ma anche terribilmente entusiasmante. Così è nata #Lifeframes, una campagna integrata per promuovere la prima mostra fotografica italiana, con contenuti scattati da persone comuni con un cellulare Sony e curata da Steve McCurry in persona. 


4 – Quali consigli daresti ai giovani che desiderano intraprendere una carriera nel mondo della comunicazione e degli eventi? Quali errori avresti voluto evitare all’inizio del tuo percorso? 

Di investire tempo nello sviluppo di una propria identità creativa, rimanendo fluidi nell’approccio. La crescita del creativo nel mondo degli eventi non è lineare, e i migliori professionisti sanno adattarsi ai cambiamenti, senza perdere la propria essenza. L’unione di una identity forte e una dedizione a “servire” il brand è la formula vincente. 

L’errore che avrei voluto evitare è impiegare troppo tempo per capire la differenza tra essere nel posto giusto ed essere la persona giusta per quel posto. Questo principio mi è stato spiegato quando ero molto (troppo?) giovane. Ne ho compreso il senso reale solo molto tempo dopo.


5 – Se avessi un super potere quale sarebbe e come lo utilizzeresti sul tuo lavoro?

Se fossimo al concorso di Miss Texas, direi il potere di portare la pace nel mondo. Ma non essendo ad Austin e soprattutto non essendo minimamente abilitato a partecipare ad un concorso di bellezza, vorrei avere il potere di Mel Gibson in What Women Want variante Black Mirror, quindi poter leggere ciò che ha in testa qualsiasi essere umano, con la funzione on/off. Credo che, per motivi di timidezza, insicurezza o semplice storytelling, le persone non dicano veramente quello che pensano o comunque sia sempre una versione edulcorata del pensiero puro, ed essendo il nostro lavoro comprendere i reali problemi delle aziende per portare la soluzione creativa più efficace, sapere “What Clients Want” sarebbe davvero un bel potere! 


Credits 

Intervistatore: Sara Fuoco
Instagram: @sarafuoco
LinkedIn: Sara Fuoco

Intervistato: Umberto Cigognini
Linkedin: Umberto Cigognini
Instagram @umberto_cigognini
Sito: www.getalifepunk.com/works/


Illustrazione di: Carlotta Egidi
Instagram: @carlottaegidi89